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mercoledì 17 agosto 2011

In che mani siamo!

Come stanno in questo momento Luigi Einaudi e Donato Menichella? Il primo grande economista e Presidente della Repubblica, l'altro Governatore della Banca d'Italia, svolsero la loro attività negli anni del Dopoguerra, tra il '46 e il '61. Quindi in un momento difficilissimo per il nostro Paese, ma la svolsero così bene tale loro attività, che alla sua conclusione la lira vinse l'Oscar quale migliore e più forte moneta del mondo.
Certo, il merito non fu soltanto loro, ma anche di coloro che, come De Gasperi e altri politici del momento, credettero in loro e li aiutarono. E tutti gli Italiani ebbero fede e si rimboccarono le maniche, creando le condizioni di quel boom economico, che fece dell'Italia, sconfitta e distrutta, la sesta nazione più ricca e industrializzata del mondo.
Certo, i tempi erano diversi, ma il loro coraggio e la loro competenza andrebbero bene anche oggi. Sempre meglio e sempre più dei vari Berlusconi, Tremonti e Bossi, che hanno ridotto l'Italia a una macchietta inaffidabile, criticata e risibile agli altri governanti europei, forse non migliori di loro, ma più capaci di difendere i loro Paesi.
Se dall'Aldilà ci guardano, e soprattutto li guardano, non stanno bene. Non stanno bene come gli Italiani vittime delle loro elucubrazioni ora pessimistiche e ora ottimistiche, ma sempre e comunque da ricovero psichiatrico e frutto di menzogne e di mistificazioni.
Devono finalmente andarsene, per essere sostituiti da uomini più credibili. Per esser sostituiti da uomini della tempra di Einaudi e Menichella. E sarebbe ora che gli Italiani dismettano il loro abito filo-clientelare, per avere a disposizione mente e indipendenza per riconoscerli e votarli alle prossime elezioni.
Non sono ottimista, ma la mia verità dovevo dirla.

domenica 14 agosto 2011

La rasoiata

 “L'Avvenire”, il giornale dei vescovi italiani, così ha definito la recente manovra del Governo, intendendo che quanto previsto dal Decreto comporta un vero taglio alle spese inutili e immorali di questo nostro caro Stato.
Il problema è che a una lettura attenta del testo se ne deduce che, se il Parlamento non apporta con emendamenti i cambiamenti necessari, la rasoiata non è diretta alle spese superflue, ma alla gola dell'Italia e degli Italiani.
Che significa, infatti, abolire o accorpare le province con meno di trecentomila abitanti? Se esse sono un costo inutile, lo sono a prescindere dal numero degli abitanti e dall'estensione geografica. Allora, come prevedeva la proposta dell'Italia dei Valori, era meglio abolirle tutte. Invece no, non si poteva, altrimenti Bossi si arrabbiava. La sua Bergamo non si tocca, alla faccia dei problemi dell'Italia.
E che cosa significa che i parlamentari restano così tanti, quanti gli stessi USA non se ne sognano neppure? Per fortuna saranno costretti, questi parlamentari, a viaggiare in classe economy. Ma perché, per i voli nazionali c'è la classe “business”?!
Se volessi, potrei continuare per pagine e pagine, ma finirei per annoiare chi mi legge e non farei altro che confermare quanto da tempo ripeto: a questo Governo manca il coraggio per una strategia. Ogni sua decisione è soltanto la negazione di ogni suo progetto politico promesso agli elettori nel momento di chieder loro la fiducia. E non vengano a dirci che è colpa della crisi internazionale, perché a che cosa si andava incontro con la loro insipienza lo avevano avuto detto da numerosissimi economisti. Ora lo ammettono, i poveretti, ma non confessano di aver trascorso quasi tre anni a tentare di far approvare leggi ad personam, trascurando le leggi ad Italiam.

sabato 6 agosto 2011

Berlusconi e la Costituzione

Berlusconi ha letto la Costituzione? E se l'ha letta, l'ha anche capita? Domande che sorgono spontanee dalla sua dichiarata volontà d'intervenirvi, per aggiungere un articolo che preveda l'obbligo di rispettare l'equilibrio di bilancio e un altro per dichiarare che tutto è permesso, se non è esplicitamente vietato dalla legge.
Nel primo proponimento c'è una dimenticanza: l'articolo 81, fortemente voluto da Einaudi, per evitare che il Parlamento approvi leggi di spesa, se non fornisce prove concrete che esistono i fondi per sostenere la spesa. Se si fosse rispettato questo articolo, il nostro debito pubblico non sarebbe oggi così alto e noi non saremmo a rosolare nella padella di una crisi economica. E' accaduto, invece, che la nostra classe politica, questa di oggi e quella di ieri, con il Documento di programmazione economica è riuscita a sfuggire a questo imperativo dell'articolo 81: ha semplicemente dimostrato che esisteva la copertura per il primo anno, ma non si è preoccupata di quel che sarebbe accaduto negli anni seguenti, quando perduravano le spese previste dalla legge approvata. In sostanza, si creavano i presupposti per futuri “debiti fuori bilancio”, da finanziare con nuove imposte e nuovi debiti. In questo modo l'articolo 81 veniva ingannato.
Con la proposta di Berlusconi l'inganno rischierebbe di diventare cronico e di costare al contribuente più di quanto costi oggi. La spesa non frenata e l'obbligo dell'equilibrio di bilancio costringerebbero il Governo e il Parlamento ad aumentare le imposte, con quali conseguenze è evidente.
Il caso del “tutto permesso” è un'aberrante ridondanza. Certo che quel che la legge vieta non posso farlo, perché commetterei un reato! E' già previsto nella Costituzione nel punto in cui è chiaramente detto che “nessuno può essere condannato, se non ha commesso un reato”, cioè se non è venuto meno a un obbligo di legge. Ma forse Berlusconi voleva dire che finora sono state fatte leggi perché la burocrazia avesse strumenti per ricattare o rallentare l'economia. Pensi piuttosto, quindi, a cancellare le tante leggi che favoriscono le lobbies e i partiti e le loro clientele. Da oltre duecentomila le faccia diventare settemila come in Germania o, tutt'al più, quattordicimila come in Francia.

giovedì 4 agosto 2011

Tremonti, le vacche e il foraggio

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Sarebbe bene che con semplicità e con un esempio pertinente e comprensibile spiegassimo perché la politica economica seguita fin qui da Tremonti è da ritenersi non solo sbagliata, ma anche dannosa.
Da quando è il ministro dell'economia, tanto amato e stimato da quei grandi intelletti di Berlusconi e Bossi, non ha fatto altro che dire che tutto andava bene, che l'Italia era forte e perciò non avrebbe fatto la fine della Grecia o del Portogallo. Persino Barroso, il portoghese presidente della Commissione europea, ha detto che le scelte dell'Italia vanno nel verso giusto. Quanto il giudizio di chi ha fatto malissimo nel suo Paese valga è chiaro. Come è chiaro quanto poco valgano altri giudizi di politici europei.
A valere veramente sono i giudizi del mercato. E questi hanno bocciato la manovra di Tremonti, come dimostrano gli andamenti di borsa e l'aumentato costo degli interessi sui titoli di stato, che non riusciremmo a vendere pagando interessi bassi come quelli tedeschi, perché non godiamo della stessa fiducia.
Che cosa è accaduto? E' accaduto che Tremonti ha soltanto aumentato le tasse, ma non ha fatto tagli alla spesa. Anzi, ha permesso che questa aumentasse, sebbene fosse improduttiva. Sono morti gli investimenti privati ed è crollata la crescita. E senza crescita non potremo far diminuire quell'enorme debito pubblico, che è la palla al piede della nostra economia.
Per dire le cose con maggiore semplicità, Tremonti si è comportato non da economista né da semplice ragioniere, ma come quell'allevatore che non compra il foraggio per le sue vacche e non consuma quello che è conservato nel fienile, facendo diminuire così la produzione di latte e di carne. Con quale esito finale possono capirlo tutti: la morte delle sue vacche. Fuor di metafora, la morte dell'economia italiana.
E dire che con l'unificazione voluta dalla legge Bassanini dei Ministeri delle Finanze e del Tesoro il PD ha fatto un grande regalo a Tremonti: ne ha fatto l'uomo che tassa gli Italiani e nello stesso tempo l'uomo che spende a suo piacimento. Troppo potere per un vaccaro incapace!

mercoledì 3 agosto 2011

La crisi italiana e il gioco del lotto

Magnifico! Dopo averci spennati per anni con il lotto settimanale, trisettimanale e infine con estrazioni ogni cinque minuti, il Governo, considerato che non riuscivamo a scegliere i numeri vincenti, ha deciso di darceli lui.
Per mezzo della Banca d'Italia ci dà un terno con il debito pubblico: 1898 miliardi. Cioè 18, 9, 8. Con la manovra economica ci dà invece la quaterna: 80 miliardi l'ammontare, 13 e 14 gli anni in cui pagheremo, 31.000 euro il debito di ogni italiano. Cioè 80, 13, 14 e 31. Un trattamento speciale è riservato ai pensionati, che potranno aspirare alla cinquina giocando il numero dei giorni in cui non mangeranno.
Anche i malati potranno contare su suggerimenti cabalistici: una gamba rotta, un'appendicite, un taglio cesareo e così via forniranno i numeri con i ticket che dovranno pagare.
Se non è buono questo Governo, non esiste la bontà. Lo diceva anche Giusti:


“Ah! viva la legge
che il lotto mantiene:
il capo del gregge
ci vuole un gran bene;
i mali, i bisogni
degli asini vede,
e al fieno provvede
col libro dei sogni.
Chi trovasi al verde
l’ascriva a suo danno;
lo Stato ci perde,
e tutti lo sanno.”

Se volete, sarebbe molto istruttivo andare a leggere “Apologia del Lotto” di Giuseppe Giusti.