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Se me lo consentite,
vorrei riprendere la discussione relativa alla nostra Costituzione e
aggiungere alcune considerazioni, per dimostrare quanto sia
necessaria una sua revisione.
Prima un brevissimo
excursus storico.
La democrazia nacque ad
Atene e il termine indicava il potere del popolo. Non funzionò bene,
però, e per questa ragione ebbe breve durata. E che non era
destinata a durare l'aveva per primo compreso Socrate, che ne
attribuiva la colpa alla scarsa sapienza degli uomini e riteneva,
pertanto, che se si fosse riusciti a renderli più sapienti, essi
sarebbero stati migliori cittadini e avrebbero scelto meglio i
governanti della “polis”.
Socrate non considerava
che “governo del popolo” significa, però, governo di tutto il
popolo. Ma il popolo che votava ad Atene non era tutto, perché erano
esclusi sicuramente gli schiavi e i meteci, e quindi quella di Atene
non era una democrazia come la intendiamo noi.
A Roma, nella Roma
repubblicana, le cose andarono un po' meglio. Si cominciarono a
considerare alcuni diritti fondamentali e fra questi soprattutto il
diritto alla vita, per cui il padrone non aveva diritto di vita o di
morte sullo schiavo, pur essendo considerato sua proprietà come se
fosse un oggetto. Era già qualcosa.
Con Locke le cose, dopo
ben sedici secoli, cambiarono. Secondo Locke, infatti, l'uomo ha tre
diritti fondamentali, che nessuna legge può togliergli: il diritto
alla vita, alla libertà di espressione e alla proprietà, se questa
è il frutto della sua intelligenza e del suo lavoro.
Da questo momento si
cercò di organizzare lo Stato in modo che chi aveva il potere non
potesse venir meno al rispetto di questi diritti fondamentali. E fu
proprio in Inghilterra che nacque la prima democrazia moderna, basata
sulla necessità di creare, da una parte, poteri intermedi, come i
Comuni, per limitare il Potere centrale, e dall'altra di separare i
tre poteri dello Stato: l'esecutivo, il legislativo e il giudiziario.
Principi che furono
ripresi da Montesquieu e furono poi fatti propri da tutti i pensatori
liberali dell'Ottocento. Principi che durano ancora oggi. Era nata
infatti quella che possiamo definire “la democrazia liberale”.
Con l'aggiunta di questo aggettivo fu necessario fissare come
inattaccabili i diritti fondamentali, fissandoli definitivamente su
una costituzione. Era nato lo stato costituzionale.
Come tutte le cose umane,
però, qualcosa sfuggì ai pensatori d'allora e ai costituenti. La
loro mente era una mente umana e come tale soggetta all'errore o alla
disattenzione e sicuramente all'incapacità di prevedere i
cambiamenti della società e la sua nuova mentalità.
Anche in Italia è
accaduta la stessa cosa e anche l'Italia – ma anche l'Europa –
sta vivendo grandi difficoltà come l'Atene degli anni della sua
crisi. Anche noi, come Socrate allora, dobbiamo cercare di capire,
per essere artefici della nostra vita e del nostro destino.
Perché oggi l'Italia in
primis, ma anche l'Europa, sono in crisi? La globalizzazione o un
deficit di democrazia e quindi l'incapacità di questa di affrontare
le nuove realtà con maggiore cognizione di causa e con governanti
preparati?
Purtroppo si dà la colpa
alle banche o agli speculatori, ma non si tiene conto che se costoro
sono in grado di ricattare gli stati è perché i loro governanti
hanno loro permesso di prendere il sopravvento sulla politica e
quindi sui cittadini, calpestando quei diritti fondamentali e
inalienabili, dei quali parlavo prima. In una parola, gli Stati sono
venuti meno al loro compito precipuo, che è quello di garantire la
libertà dei cittadini.
Perché tutto questo? Se
guardiamo all'Italia, è innegabile che la causa prima deriva dalla
confusione che si è fatta e si fa tra i tre famosi poteri: il
legislativo, l'esecutivo e il giudiziario. E la confusione nasce da
un difetto fondamentale: il considerare la legge non come disse Piero
Calamandrei in una arringa difensiva in favore di Danilo Dolci, “una
corrente di pensiero” e quindi il frutto della nostra volontà di
difendere i diritti del cittadino, ma come norma amministrativa
votata dal Parlamento e solo per questo motivo “legge” e non
soltanto quel che è: una norma, che troppo spesso tradisce i
principi del diritto.
Donde deriva questa
confusione? Io credo che essa derivi dall'aver affidato allo stesso
Parlamento sia il potere legislativo e sia quello di sostenitore e
controllore del Governo. Ciò comporta, siccome il Governo
amministra, che il Parlamento sia più preoccupato di sostenere
questo Governo che dell'interesse del Paese. Ma anche, se sono
prossime le elezioni, di votare “leggi”, ma meglio dire norme, di
spesa per raccogliere consensi.
Per rendersi conto di
questo gioco al massacro bisognerebbe che tutti i cittadini fossero
come li avrebbe voluti Socrate. Ma questo è stato impossibile
ottenerlo in venticinque secoli e secondo me continua a essere
impossibile da ottenere. Meglio cercare altri strumenti.
Intanto tornare alle
autonomie locali, come le voleva Minghetti e come funzionano in
Inghilterra. Poi pensare a una seria riforma della Costituzione, che
preveda l'elezione con il sistema proporzionale di una Camera
veramente e solamente legislativa, svincolata dall'appoggio e dal
controllo del Governo, indipendente e in grado di bocciare le norme
approvate da una Camera per far felice il Governo. Una Camera che
somigli a una Corte Costituzionale, sempre attiva ed eletta dai
cittadini, magari per dieci anni, e i cui membri non siano
rieleggibili, per evitare che siano soggetti al desiderio di
procurarsi consensi.
Questa, per sommi capi,
la mia prima proposta. Su di essa vorrei sentire il vostro parere.