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venerdì 10 febbraio 2012

Lombardo e la Sicilia in agonia



C'è da restare allibiti! C'è sentirsi presi da una rabbia insopprimibile!
A Bruxelles giacciono ben 11.000.000.000,00 (undici miliardi!) di euro, che la Sicilia non riesce a spendere. E quando dico la Sicilia, intendo il suo Governo e la pletora di circa 30.000 burocrati e di consulenti esterni, che vengono pagati con le nostre tasse.
Di fronte a questa situazione e all'avanzante povertà dei siciliani, che cosa fa quel triste figuro, che risponde al nome di Raffaele Lombardo?
Semplice, come bere un bicchier d'acqua: va a Roma e si presenta a Monti, chiedendogli soldi per tener buoni “i forconi” e per buttare fumo negli occhi dei cittadini siciliani, perché non vedano quel che egli fa (meglio sarebbe dire che non fa)! E se il buon Monti gli risponde che non può sempre chiedere soldi, se non sa spendere quelli che ha, se ne torna mesto in Sicilia a raccontare le favole di sempre, per farli addormentare.
Lo consolano assessori come Russo o Armao, capaci soltanto di ridurre tribunali o reparti ospedalieri, ma incapaci d'interrogarsi sulle ragioni vere del cattivo funzionamento di una macchina burocratica obesa tanto quanto un maiale pronto per la macellazione. Per restare in tema, dico che, se fossi ancora titolare di un'impresa zootecnica, non affiderei a questi signori neppure un gregge di pecore. E non soltanto per tutelare i miei interessi, ma anche per non essere denunziato dalla Lega per la protezione degli animali, che facilmente dimostrerebbe la mia superficialità nell'affidare quei poveri animali a persone tanto incapaci.
Questo Governo regionale, che ha chiesto il voto dei cittadini per la riconquista di un'autonomia perduta, ha così trasformato la Sicilia in un questuante. Un questuante che non ispira neppure compassione, visto che non le viene più elargito il becco di un quattrino, perché non riesce a spendere quelli che ha. E non li spende perché non sa fare progetti né, se fatti, sa approvarli.
Venga pure, signor Lombardo, a chiudere i nostri centri nascita o i nostri tribunali: sapremo punire Vostra Signoria e i suoi sostenitori alle prossime elezioni! Chieda pure ai 30.000 (trentamila!) suoi servi burocrati di fare quadrato attorno a lei, come fecero a Custoza gli Italiani attorno al principe Umberto: non ce ne curiamo né preoccupiamo, perché lei la battaglia l'ha persa, in quanto noi, fedeli all'insegnamento della Bibbia le urliamo: “MUOIA SANSONE CON TUTTI I FILISTEI!”.
Soltanto così potremo salvare le generazioni che verranno.

sabato 21 gennaio 2012

Esiste ancora la separazione fra potere legislativo ed esecutivo?


Da anni, persino da decenni, si procede a manovre correttive, che consentono allo Stato e al Paese di sopravvivere, ma che non risolvono nulla. Queste manovre somigliano alle riparazioni di un'automobile ridotta ormai a un catorcio e che, pertanto, deve essere sostituita. Se non lo si fa, si spendono troppi soldi per le riparazioni – come accade con ogni manovra – ma l'automobile continua a essere inaffidabile, perché soggetta a nuovi guasti e quindi inutilizzabile per i lunghi viaggi, come dovrebbe essere quello di un Paese verso il futuro.
Non insisto su cose che conosciamo bene, visto che apparteniamo a quel gruppo di uomini che non vogliono restare inconsapevoli del loro presente. Basti ricordare che l'Italia, così com'è, questo viaggio verso il futuro non può intraprenderlo.
Che cosa fare allora? Smetterla finalmente con le “manovre” e pensare a una seria riforma dello Stato e della sua Carta fondante. Cambiamo, cioè, automobile, il cui acquisto prevede un pagamento in una moneta diversa dall'euro: le idee! Procuriamocele, allora! Ma esse si trovano, come qualcuno ci ha insegnato tanti secoli fa, nel dibattito e nello scambio di opinioni. Ecco perché ritengo utile e quasi indispensabile che noi ci misuriamo, ci confrontiamo: perché alla fine avremo idee mature e sottoposte alle critiche argomentate, che sapremo scambiarci. Ne abbiamo il dovere, perché abbiamo ricevuto il dono dell'intelligenza e questa intelligenza l'abbiamo e continuiamo a coltivarla. Se non lo faremo, saremo come ladri, che hanno rubato qualcosa alla natura, o poveri stupidi che utilizzano un grande dono per scambiarlo con un piatto di lenticchie.

giovedì 19 gennaio 2012

La Sicilia disperata in rivolta



La Sicilia in agonia sta contorcendosi convulsamente come un impiccato. Alludo, per i contorcimenti, a coloro che scendono in piazza e sfogano non la loro rabbia, perché non hanno più la forza di averne, ma la loro disperazione. Sono agricoltori, autotrasportatori, pescatori. Sono uomini che hanno rischiato sempre in proprio; sono, cioè, uomini abituati ad affrontare le difficoltà della loro attività, facendo leva sulle loro capacità, sul loro coraggio, sulla loro esperienza e quella dei loro genitori, sulla loro buona volontà.
C'è, a questo proposito, la dichiarazione di uno di questi manifestanti, un agricoltore nel caso specifico, che la dice lunga sulla situazione reale. Ricordando il padre e il nonno, egli si chiede e chiede come mai costoro, con il duro lavoro, riuscirono a comprare quella terra, dove lavora e sulla quale costruirono la casa, che oggi egli abita; mentre invece egli, dopo vent'anni di lavoro, si ritrova persino senza la capacità di mantenere se stesso e i propri figli. Si ritrova disperato.
Vero, come mai? Che cosa non ha funzionato? Forse è cambiato il metodo di coltivazione degli agrumi o delle lattughe? Forse le onde del mare in tempesta non vengono più affrontate dai pescatori, per catturare pesci? Forse si sono allungati gli itinerari per gli autotrasportatori?
Niente di tutto questo! Si è provveduto soltanto a togliere libertà a questi lavoratori. La libertà di trovare “sul campo” e con l'esperienza le soluzioni ai problemi, che da sempre gli uomini devono affrontare per vivere. E gli si è tolta, questa libertà, facendo loro credere che lo si faceva per il loro bene, per liberarli dal peso del rischio e per garantire loro sicurezza estrema. Una sicurezza, che procuravano con quelli ch'erano chiamati “contributi” o “fermi biologici” e che permettevano a una classe politica sempre meno preparata e a una burocrazia – che non distingueva una vacca da una capra o una sardina da un'acciuga – di stabilire che cosa questi uomini dovevano fare, quando dovevano farlo e come dovevano farlo. Nel giro di pochi decenni questa politica dissennata ha distrutto molte attività e ha dilapidato ricchezze in stupide sperimentazioni, studiate a tavolino, ma persino nemiche del territorio. Tant'è che esso da anni ormai si ribella con le sue frane, finché una di esse non inghiottirà questi responsabili.
Oggi anche loro, i politici regionali e la burocrazia, sono stanchi, al punto che non sanno sfruttare le occasioni offerte dalla UE con i fondi per il rilancio della Sicilia, e disperati nominano consulenti pagati a peso d'oro e per se stessi chiedono stipendi ed emolumenti superiori di gran lunga a quelli dei loro colleghi di altre regioni italiane. Disperati impugnano il bilancio dello Stato, chiedendo il riconoscimento del diritto d'incassare le accise sui carburanti. Ma per far cosa? Per mantenere i loro privilegi, visto che la cifra non sarebbe sufficiente neppure a coprire il misero 5% delle necessità.
Non impugnano, però, le decisioni di chiudere centri nascite e tribunali. In questo caso sono ubbidienti e solerti come scolari diligenti!
Povera Sicilia! Speriamo che questa ribellione spontanea, sebbene nata dalla disperazione, non muoia prima che i Lombardo e i suoi assessori siano tornati nelle loro case e seduti sui triclini siano serviti e riveriti dai dirigenti e dai burocrati regionali, con indosso finalmente la livrea dei servitori. Speriamo che questi uomini non facciano come altri prima di loro e non si ritirino perché è stato promesso un contributo o un piano faraonico d'intervento.
Non fidatevi di chi, promettendo l'autonomia, vi ha svenduti per restare attaccato a una poltrona!

martedì 17 gennaio 2012

Una riforma costituzione

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Se me lo consentite, vorrei riprendere la discussione relativa alla nostra Costituzione e aggiungere alcune considerazioni, per dimostrare quanto sia necessaria una sua revisione.
Prima un brevissimo excursus storico.
La democrazia nacque ad Atene e il termine indicava il potere del popolo. Non funzionò bene, però, e per questa ragione ebbe breve durata. E che non era destinata a durare l'aveva per primo compreso Socrate, che ne attribuiva la colpa alla scarsa sapienza degli uomini e riteneva, pertanto, che se si fosse riusciti a renderli più sapienti, essi sarebbero stati migliori cittadini e avrebbero scelto meglio i governanti della “polis”.
Socrate non considerava che “governo del popolo” significa, però, governo di tutto il popolo. Ma il popolo che votava ad Atene non era tutto, perché erano esclusi sicuramente gli schiavi e i meteci, e quindi quella di Atene non era una democrazia come la intendiamo noi.
A Roma, nella Roma repubblicana, le cose andarono un po' meglio. Si cominciarono a considerare alcuni diritti fondamentali e fra questi soprattutto il diritto alla vita, per cui il padrone non aveva diritto di vita o di morte sullo schiavo, pur essendo considerato sua proprietà come se fosse un oggetto. Era già qualcosa.
Con Locke le cose, dopo ben sedici secoli, cambiarono. Secondo Locke, infatti, l'uomo ha tre diritti fondamentali, che nessuna legge può togliergli: il diritto alla vita, alla libertà di espressione e alla proprietà, se questa è il frutto della sua intelligenza e del suo lavoro.
Da questo momento si cercò di organizzare lo Stato in modo che chi aveva il potere non potesse venir meno al rispetto di questi diritti fondamentali. E fu proprio in Inghilterra che nacque la prima democrazia moderna, basata sulla necessità di creare, da una parte, poteri intermedi, come i Comuni, per limitare il Potere centrale, e dall'altra di separare i tre poteri dello Stato: l'esecutivo, il legislativo e il giudiziario.
Principi che furono ripresi da Montesquieu e furono poi fatti propri da tutti i pensatori liberali dell'Ottocento. Principi che durano ancora oggi. Era nata infatti quella che possiamo definire “la democrazia liberale”. Con l'aggiunta di questo aggettivo fu necessario fissare come inattaccabili i diritti fondamentali, fissandoli definitivamente su una costituzione. Era nato lo stato costituzionale.
Come tutte le cose umane, però, qualcosa sfuggì ai pensatori d'allora e ai costituenti. La loro mente era una mente umana e come tale soggetta all'errore o alla disattenzione e sicuramente all'incapacità di prevedere i cambiamenti della società e la sua nuova mentalità.
Anche in Italia è accaduta la stessa cosa e anche l'Italia – ma anche l'Europa – sta vivendo grandi difficoltà come l'Atene degli anni della sua crisi. Anche noi, come Socrate allora, dobbiamo cercare di capire, per essere artefici della nostra vita e del nostro destino.
Perché oggi l'Italia in primis, ma anche l'Europa, sono in crisi? La globalizzazione o un deficit di democrazia e quindi l'incapacità di questa di affrontare le nuove realtà con maggiore cognizione di causa e con governanti preparati?
Purtroppo si dà la colpa alle banche o agli speculatori, ma non si tiene conto che se costoro sono in grado di ricattare gli stati è perché i loro governanti hanno loro permesso di prendere il sopravvento sulla politica e quindi sui cittadini, calpestando quei diritti fondamentali e inalienabili, dei quali parlavo prima. In una parola, gli Stati sono venuti meno al loro compito precipuo, che è quello di garantire la libertà dei cittadini.
Perché tutto questo? Se guardiamo all'Italia, è innegabile che la causa prima deriva dalla confusione che si è fatta e si fa tra i tre famosi poteri: il legislativo, l'esecutivo e il giudiziario. E la confusione nasce da un difetto fondamentale: il considerare la legge non come disse Piero Calamandrei in una arringa difensiva in favore di Danilo Dolci, “una corrente di pensiero” e quindi il frutto della nostra volontà di difendere i diritti del cittadino, ma come norma amministrativa votata dal Parlamento e solo per questo motivo “legge” e non soltanto quel che è: una norma, che troppo spesso tradisce i principi del diritto.
Donde deriva questa confusione? Io credo che essa derivi dall'aver affidato allo stesso Parlamento sia il potere legislativo e sia quello di sostenitore e controllore del Governo. Ciò comporta, siccome il Governo amministra, che il Parlamento sia più preoccupato di sostenere questo Governo che dell'interesse del Paese. Ma anche, se sono prossime le elezioni, di votare “leggi”, ma meglio dire norme, di spesa per raccogliere consensi.
Per rendersi conto di questo gioco al massacro bisognerebbe che tutti i cittadini fossero come li avrebbe voluti Socrate. Ma questo è stato impossibile ottenerlo in venticinque secoli e secondo me continua a essere impossibile da ottenere. Meglio cercare altri strumenti.
Intanto tornare alle autonomie locali, come le voleva Minghetti e come funzionano in Inghilterra. Poi pensare a una seria riforma della Costituzione, che preveda l'elezione con il sistema proporzionale di una Camera veramente e solamente legislativa, svincolata dall'appoggio e dal controllo del Governo, indipendente e in grado di bocciare le norme approvate da una Camera per far felice il Governo. Una Camera che somigli a una Corte Costituzionale, sempre attiva ed eletta dai cittadini, magari per dieci anni, e i cui membri non siano rieleggibili, per evitare che siano soggetti al desiderio di procurarsi consensi.
Questa, per sommi capi, la mia prima proposta. Su di essa vorrei sentire il vostro parere.

giovedì 5 gennaio 2012

Cambiare la Costituzione?




Se è vero, come diceva Jefferson, che ogni generazione deve avere la sua costituzione, la nostra ha forse bisogno d'essere rivista, visto che di generazioni dalla sua entrata in vigore ne sono passate almeno tre.
C'è da aggiungere che essa ormai si dimostra ogni giorno più inadeguata e la crisi del sistema Italia deriva anche, e forse soprattutto, da questa inadeguatezza. Siamo come una botte che ha bisogno di un cerchio di ferro, perché le sue doghe si tengano ferme al loro posto. E una costituzione funzionante e condivisa sarebbe questo indispensabile cerchio di ferro.
Le recenti attività del Presidente Napolitano sono state volte a sostituire questo cerchio. Ma se al suo posto ci fosse stato qualcuno meno coraggioso e incapace di occupare un posto lasciato libero dalla politica, saremmo ancora con la botte "sistema Italia" in piedi? Quindi è forse il caso che ci pensiamo un po', a meno che non vogliamo soggiacere al luogo comune che la Costituzione NON Si TOCCA!
L'articolo 138 prevede le procedure di revisione della Costituzione, ma esso mi sembra inadeguato. Ci troviamo, visto lo stato in cui versiamo, di fronte al cosiddetto paradosso di Zagrelbelsky: il sistema va riformato perché incapace di decisioni forti, ma la revisione sarebbe una decisione fortissima, che il sistema politico, essendo appunto in crisi, non può prendere. A meno di non essere come il barone di Munchhausen, che si salvò dalle sabbie mobili tirandosi da solo per i capelli.
Occorre, allora, una nuova costituente eletta dai cittadini con il sistema proporzionale, perché tutti vi abbiano voce. Sarebbe opportuno che, prima d'indire le elezioni per la costituente, si chiedesse ai cittadini, con un referendum, se 1) vogliono cambiare la Costituzione e 2)se vogliono incaricarne le Assemblee legislative o un'apposita Costituente.
Nel caso in cui nel referendum vincesse la volontà di incaricarne un'apposita Costituente, si aprirebbe un dibattito come nel '46 e forse guadagneremo la speranza di durare come Nazione e come Civiltà ancora per qualche secolo.