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lunedì 9 aprile 2012
venerdì 10 febbraio 2012
Lombardo e la Sicilia in agonia
C'è da restare allibiti!
C'è sentirsi presi da una rabbia insopprimibile!
A Bruxelles giacciono ben
11.000.000.000,00 (undici miliardi!) di euro, che la Sicilia non
riesce a spendere. E quando dico la Sicilia, intendo il suo Governo e
la pletora di circa 30.000 burocrati e di consulenti esterni, che
vengono pagati con le nostre tasse.
Di fronte a questa
situazione e all'avanzante povertà dei siciliani, che cosa fa quel
triste figuro, che risponde al nome di Raffaele Lombardo?
Semplice, come bere un
bicchier d'acqua: va a Roma e si presenta a Monti, chiedendogli soldi
per tener buoni “i forconi” e per buttare fumo negli occhi dei
cittadini siciliani, perché non vedano quel che egli fa (meglio
sarebbe dire che non fa)! E se il buon Monti gli risponde che non può
sempre chiedere soldi, se non sa spendere quelli che ha, se ne torna
mesto in Sicilia a raccontare le favole di sempre, per farli
addormentare.
Lo consolano assessori
come Russo o Armao, capaci soltanto di ridurre tribunali o reparti
ospedalieri, ma incapaci d'interrogarsi sulle ragioni vere del
cattivo funzionamento di una macchina burocratica obesa tanto quanto
un maiale pronto per la macellazione. Per restare in tema, dico che,
se fossi ancora titolare di un'impresa zootecnica, non affiderei a
questi signori neppure un gregge di pecore. E non soltanto per
tutelare i miei interessi, ma anche per non essere denunziato dalla
Lega per la protezione degli animali, che facilmente dimostrerebbe la
mia superficialità nell'affidare quei poveri animali a persone tanto
incapaci.
Questo Governo regionale,
che ha chiesto il voto dei cittadini per la riconquista di
un'autonomia perduta, ha così trasformato la Sicilia in un
questuante. Un questuante che non ispira neppure compassione, visto
che non le viene più elargito il becco di un quattrino, perché non
riesce a spendere quelli che ha. E non li spende perché non sa fare
progetti né, se fatti, sa approvarli.
Venga pure, signor
Lombardo, a chiudere i nostri centri nascita o i nostri tribunali:
sapremo punire Vostra Signoria e i suoi sostenitori alle prossime
elezioni! Chieda pure ai 30.000 (trentamila!) suoi servi burocrati di
fare quadrato attorno a lei, come fecero a Custoza gli Italiani
attorno al principe Umberto: non ce ne curiamo né preoccupiamo,
perché lei la battaglia l'ha persa, in quanto noi, fedeli
all'insegnamento della Bibbia le urliamo: “MUOIA SANSONE CON TUTTI
I FILISTEI!”.
Soltanto così potremo
salvare le generazioni che verranno.
sabato 21 gennaio 2012
Esiste ancora la separazione fra potere legislativo ed esecutivo?
Da anni, persino da decenni, si procede a manovre
correttive, che consentono allo Stato e al Paese di sopravvivere, ma
che non risolvono nulla. Queste manovre somigliano alle riparazioni
di un'automobile ridotta ormai a un catorcio e che, pertanto, deve
essere sostituita. Se non lo si fa, si spendono troppi soldi per le
riparazioni – come accade con ogni manovra – ma l'automobile
continua a essere inaffidabile, perché soggetta a nuovi guasti e
quindi inutilizzabile per i lunghi viaggi, come dovrebbe essere
quello di un Paese verso il futuro.
Non insisto su cose che conosciamo bene, visto che
apparteniamo a quel gruppo di uomini che non vogliono restare
inconsapevoli del loro presente. Basti ricordare che l'Italia, così
com'è, questo viaggio verso il futuro non può intraprenderlo.
Che cosa fare allora? Smetterla finalmente con le
“manovre” e pensare a una seria riforma dello Stato e della sua
Carta fondante. Cambiamo, cioè, automobile, il cui acquisto prevede
un pagamento in una moneta diversa dall'euro: le idee!
Procuriamocele, allora! Ma esse si trovano, come qualcuno ci ha
insegnato tanti secoli fa, nel dibattito e nello scambio di opinioni.
Ecco perché ritengo utile e quasi indispensabile che noi ci
misuriamo, ci confrontiamo: perché alla fine avremo idee mature e
sottoposte alle critiche argomentate, che sapremo scambiarci. Ne
abbiamo il dovere, perché abbiamo ricevuto il dono dell'intelligenza
e questa intelligenza l'abbiamo e continuiamo a coltivarla. Se non lo
faremo, saremo come ladri, che hanno rubato qualcosa alla natura, o
poveri stupidi che utilizzano un grande dono per scambiarlo con un
piatto di lenticchie.
giovedì 19 gennaio 2012
La Sicilia disperata in rivolta
La Sicilia in agonia sta
contorcendosi convulsamente come un impiccato. Alludo, per i
contorcimenti, a coloro che scendono in piazza e sfogano non la loro
rabbia, perché non hanno più la forza di averne, ma la loro
disperazione. Sono agricoltori, autotrasportatori, pescatori. Sono
uomini che hanno rischiato sempre in proprio; sono, cioè, uomini
abituati ad affrontare le difficoltà della loro attività, facendo
leva sulle loro capacità, sul loro coraggio, sulla loro esperienza e
quella dei loro genitori, sulla loro buona volontà.
C'è, a questo proposito,
la dichiarazione di uno di questi manifestanti, un agricoltore nel
caso specifico, che la dice lunga sulla situazione reale. Ricordando
il padre e il nonno, egli si chiede e chiede come mai costoro, con il
duro lavoro, riuscirono a comprare quella terra, dove lavora e sulla
quale costruirono la casa, che oggi egli abita; mentre invece egli,
dopo vent'anni di lavoro, si ritrova persino senza la capacità di
mantenere se stesso e i propri figli. Si ritrova disperato.
Vero, come mai? Che cosa
non ha funzionato? Forse è cambiato il metodo di coltivazione degli
agrumi o delle lattughe? Forse le onde del mare in tempesta non
vengono più affrontate dai pescatori, per catturare pesci? Forse si
sono allungati gli itinerari per gli autotrasportatori?
Niente di tutto questo!
Si è provveduto soltanto a togliere libertà a questi lavoratori. La
libertà di trovare “sul campo” e con l'esperienza le soluzioni
ai problemi, che da sempre gli uomini devono affrontare per vivere. E
gli si è tolta, questa libertà, facendo loro credere che lo si
faceva per il loro bene, per liberarli dal peso del rischio e per
garantire loro sicurezza estrema. Una sicurezza, che procuravano con
quelli ch'erano chiamati “contributi” o “fermi biologici” e
che permettevano a una classe politica sempre meno preparata e a una
burocrazia – che non distingueva una vacca da una capra o una
sardina da un'acciuga – di stabilire che cosa questi uomini
dovevano fare, quando dovevano farlo e come dovevano farlo. Nel giro
di pochi decenni questa politica dissennata ha distrutto molte
attività e ha dilapidato ricchezze in stupide sperimentazioni,
studiate a tavolino, ma persino nemiche del territorio. Tant'è che
esso da anni ormai si ribella con le sue frane, finché una di esse
non inghiottirà questi responsabili.
Oggi anche loro, i
politici regionali e la burocrazia, sono stanchi, al punto che non
sanno sfruttare le occasioni offerte dalla UE con i fondi per il
rilancio della Sicilia, e disperati nominano consulenti pagati a peso
d'oro e per se stessi chiedono stipendi ed emolumenti superiori di
gran lunga a quelli dei loro colleghi di altre regioni italiane.
Disperati impugnano il bilancio dello Stato, chiedendo il
riconoscimento del diritto d'incassare le accise sui carburanti. Ma
per far cosa? Per mantenere i loro privilegi, visto che la cifra non
sarebbe sufficiente neppure a coprire il misero 5% delle necessità.
Non impugnano, però, le
decisioni di chiudere centri nascite e tribunali. In questo caso sono
ubbidienti e solerti come scolari diligenti!
Povera Sicilia! Speriamo
che questa ribellione spontanea, sebbene nata dalla disperazione, non
muoia prima che i Lombardo e i suoi assessori siano tornati nelle
loro case e seduti sui triclini siano serviti e riveriti dai
dirigenti e dai burocrati regionali, con indosso finalmente la livrea
dei servitori. Speriamo che questi uomini non facciano come altri
prima di loro e non si ritirino perché è stato promesso un
contributo o un piano faraonico d'intervento.
Non fidatevi di chi,
promettendo l'autonomia, vi ha svenduti per restare attaccato a una
poltrona!
martedì 17 gennaio 2012
Una riforma costituzione
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Se me lo consentite,
vorrei riprendere la discussione relativa alla nostra Costituzione e
aggiungere alcune considerazioni, per dimostrare quanto sia
necessaria una sua revisione.
Prima un brevissimo
excursus storico.
La democrazia nacque ad
Atene e il termine indicava il potere del popolo. Non funzionò bene,
però, e per questa ragione ebbe breve durata. E che non era
destinata a durare l'aveva per primo compreso Socrate, che ne
attribuiva la colpa alla scarsa sapienza degli uomini e riteneva,
pertanto, che se si fosse riusciti a renderli più sapienti, essi
sarebbero stati migliori cittadini e avrebbero scelto meglio i
governanti della “polis”.
Socrate non considerava
che “governo del popolo” significa, però, governo di tutto il
popolo. Ma il popolo che votava ad Atene non era tutto, perché erano
esclusi sicuramente gli schiavi e i meteci, e quindi quella di Atene
non era una democrazia come la intendiamo noi.
A Roma, nella Roma
repubblicana, le cose andarono un po' meglio. Si cominciarono a
considerare alcuni diritti fondamentali e fra questi soprattutto il
diritto alla vita, per cui il padrone non aveva diritto di vita o di
morte sullo schiavo, pur essendo considerato sua proprietà come se
fosse un oggetto. Era già qualcosa.
Con Locke le cose, dopo
ben sedici secoli, cambiarono. Secondo Locke, infatti, l'uomo ha tre
diritti fondamentali, che nessuna legge può togliergli: il diritto
alla vita, alla libertà di espressione e alla proprietà, se questa
è il frutto della sua intelligenza e del suo lavoro.
Da questo momento si
cercò di organizzare lo Stato in modo che chi aveva il potere non
potesse venir meno al rispetto di questi diritti fondamentali. E fu
proprio in Inghilterra che nacque la prima democrazia moderna, basata
sulla necessità di creare, da una parte, poteri intermedi, come i
Comuni, per limitare il Potere centrale, e dall'altra di separare i
tre poteri dello Stato: l'esecutivo, il legislativo e il giudiziario.
Principi che furono
ripresi da Montesquieu e furono poi fatti propri da tutti i pensatori
liberali dell'Ottocento. Principi che durano ancora oggi. Era nata
infatti quella che possiamo definire “la democrazia liberale”.
Con l'aggiunta di questo aggettivo fu necessario fissare come
inattaccabili i diritti fondamentali, fissandoli definitivamente su
una costituzione. Era nato lo stato costituzionale.
Come tutte le cose umane,
però, qualcosa sfuggì ai pensatori d'allora e ai costituenti. La
loro mente era una mente umana e come tale soggetta all'errore o alla
disattenzione e sicuramente all'incapacità di prevedere i
cambiamenti della società e la sua nuova mentalità.
Anche in Italia è
accaduta la stessa cosa e anche l'Italia – ma anche l'Europa –
sta vivendo grandi difficoltà come l'Atene degli anni della sua
crisi. Anche noi, come Socrate allora, dobbiamo cercare di capire,
per essere artefici della nostra vita e del nostro destino.
Perché oggi l'Italia in
primis, ma anche l'Europa, sono in crisi? La globalizzazione o un
deficit di democrazia e quindi l'incapacità di questa di affrontare
le nuove realtà con maggiore cognizione di causa e con governanti
preparati?
Purtroppo si dà la colpa
alle banche o agli speculatori, ma non si tiene conto che se costoro
sono in grado di ricattare gli stati è perché i loro governanti
hanno loro permesso di prendere il sopravvento sulla politica e
quindi sui cittadini, calpestando quei diritti fondamentali e
inalienabili, dei quali parlavo prima. In una parola, gli Stati sono
venuti meno al loro compito precipuo, che è quello di garantire la
libertà dei cittadini.
Perché tutto questo? Se
guardiamo all'Italia, è innegabile che la causa prima deriva dalla
confusione che si è fatta e si fa tra i tre famosi poteri: il
legislativo, l'esecutivo e il giudiziario. E la confusione nasce da
un difetto fondamentale: il considerare la legge non come disse Piero
Calamandrei in una arringa difensiva in favore di Danilo Dolci, “una
corrente di pensiero” e quindi il frutto della nostra volontà di
difendere i diritti del cittadino, ma come norma amministrativa
votata dal Parlamento e solo per questo motivo “legge” e non
soltanto quel che è: una norma, che troppo spesso tradisce i
principi del diritto.
Donde deriva questa
confusione? Io credo che essa derivi dall'aver affidato allo stesso
Parlamento sia il potere legislativo e sia quello di sostenitore e
controllore del Governo. Ciò comporta, siccome il Governo
amministra, che il Parlamento sia più preoccupato di sostenere
questo Governo che dell'interesse del Paese. Ma anche, se sono
prossime le elezioni, di votare “leggi”, ma meglio dire norme, di
spesa per raccogliere consensi.
Per rendersi conto di
questo gioco al massacro bisognerebbe che tutti i cittadini fossero
come li avrebbe voluti Socrate. Ma questo è stato impossibile
ottenerlo in venticinque secoli e secondo me continua a essere
impossibile da ottenere. Meglio cercare altri strumenti.
Intanto tornare alle
autonomie locali, come le voleva Minghetti e come funzionano in
Inghilterra. Poi pensare a una seria riforma della Costituzione, che
preveda l'elezione con il sistema proporzionale di una Camera
veramente e solamente legislativa, svincolata dall'appoggio e dal
controllo del Governo, indipendente e in grado di bocciare le norme
approvate da una Camera per far felice il Governo. Una Camera che
somigli a una Corte Costituzionale, sempre attiva ed eletta dai
cittadini, magari per dieci anni, e i cui membri non siano
rieleggibili, per evitare che siano soggetti al desiderio di
procurarsi consensi.
Questa, per sommi capi,
la mia prima proposta. Su di essa vorrei sentire il vostro parere.
giovedì 5 gennaio 2012
Cambiare la Costituzione?
Se
è vero, come diceva Jefferson, che ogni generazione deve avere la sua
costituzione, la nostra ha forse bisogno d'essere rivista, visto che di
generazioni dalla sua entrata in vigore ne sono passate almeno tre.
C'è da aggiungere che essa ormai si dimostra ogni giorno più inadeguata e
la crisi del sistema Italia deriva anche, e forse soprattutto, da
questa inadeguatezza. Siamo come una botte che ha bisogno di un cerchio
di ferro, perché le sue doghe si tengano ferme al loro posto. E una
costituzione funzionante e condivisa sarebbe questo indispensabile
cerchio di ferro.
Le recenti attività del Presidente Napolitano sono
state volte a sostituire questo cerchio. Ma se al suo posto ci fosse
stato qualcuno meno coraggioso e incapace di occupare un posto lasciato
libero dalla politica, saremmo ancora
con la botte "sistema Italia" in piedi? Quindi è forse il caso che ci
pensiamo un po', a meno che non vogliamo soggiacere al luogo comune che
la Costituzione NON Si TOCCA!
L'articolo 138 prevede le procedure di
revisione della Costituzione, ma esso mi sembra inadeguato. Ci
troviamo, visto lo stato in cui versiamo, di fronte al cosiddetto
paradosso di Zagrelbelsky: il sistema va riformato perché incapace di
decisioni forti, ma la revisione sarebbe una decisione fortissima, che
il sistema politico, essendo appunto in crisi, non può prendere. A meno
di non essere come il barone di Munchhausen, che si salvò dalle sabbie
mobili tirandosi da solo per i capelli.
Occorre, allora, una nuova
costituente eletta dai cittadini con il sistema proporzionale, perché
tutti vi abbiano voce. Sarebbe opportuno che, prima d'indire le elezioni
per la costituente, si chiedesse ai cittadini, con un referendum, se 1)
vogliono cambiare la Costituzione e 2)se vogliono incaricarne le
Assemblee legislative o un'apposita Costituente.
Nel caso in cui nel
referendum vincesse la volontà di incaricarne un'apposita Costituente,
si aprirebbe un dibattito come nel '46 e forse guadagneremo la speranza
di durare come Nazione e come Civiltà ancora per qualche secolo.
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