C'è un nome, che dà
alla Sicilia lustro più di quanto ne diano tanti altri, succedutisi
nei secoli in questa terra straordinaria, che oggi soffre proprio a
causa dell'ignoranza di tale nome. Il nome di un uomo coraggioso e
intelligente, che ai suoi tempi si batté per l'indipendenza della
Sicilia dai Greci e dai Fenici-Cartaginesi. È il nome di Ducezio.
In questo periodo
natalizio, che non è proprio un periodo di pace fraterna fra gli
uomini, ma di attentati e di morti, di bambini senza futuro e
sofferenti, di arroganza e supponenza di coloro che dicono falsamente
di volere il bene di tutti: in questo periodo di agonia della nostra
civiltà è giusto e doveroso ricordare Ducezio, che per questa
civiltà si è battuto per tutta la sua vita.
Ricordarlo equivale a
ricordarci della nostra storia, che non sfigura di fronte ai Comuni
medievali in lotta per la libertà o alle rivoluzioni dell'Ottocento,
che resero migliore l'Europa. Se egli avesse vinto, sarebbe migliore
anche la Sicilia; se noi lo ricorderemo, imparandone la lezione,
riusciremmo a riprendere il cammino verso tale miglioramento e la
Sicilia sarebbe ancora una volta indicata come un faro di civiltà e
di tolleranza, come lo fu con Ruggero II e con Federico II.
È con questa speranza
che tento un veloce excursus
storico degli albori della storia della Sicilia.
Certamente
di quel periodo storico non abbiamo testimonianze dirette, ma ci
vengono in aiuto gli storici Tucidide e Diodoro Siculo, che nei loro
scritti fecero spesso riferimento a esso, riportando notizie e nomi,
che altrimenti sarebbero oggi dimenticati. Un altro aiuto ce lo dà
anche il poeta Omero, a condizione di leggere nella sua Iliade non i
fatti derivanti dalle gelosie degli uomini o degli dei, ma le
conseguenze dello scontro titanico dei Greci contro gli Ittiti
dell'attuale Turchia.
Apprendiamo
dai due storici che dalla fusione dei Sicani con i Siculi venne fuori
il primo popolo siciliano, che diede nome alla Sicilia, che i Greci
si ostinarono a chiamare Trinacria per la sua forma. Ducezio era
dunque quello che oggi chiameremmo un siciliano doc, perché figlio
di un popolo, che nulla aveva a che vedere con le altre popolazioni
del Mediterraneo d'allora. Quando questo popolo si era già insediato
nell'Isola e aveva imparato a sfruttarne il territorio, creando città
e sviluppando l'agricoltura, l'espansione di altri popoli determinò
un cambiamento nella vita dei Siculi, che si videro minacciati dai
Greci a oriente e dai Fenici a occidente, anche se entrambi
provenivano da oriente rispetto alla Sicilia: i Greci dalla montuosa
e povera penisola greca e i Fenici dall'attuale Libano.
Tra i
due popoli invasori c'era una sostanziale differenza. I primi, i
Greci, avevano in mente la conquista di tutta la Sicilia. Ovunque
arrivavano, fondavano le loro città e scacciavano le popolazioni
residenti, non disdegnando di ricorrere perfino al genocidio.
Diverse
erano le intenzioni dei Fenici. A loro interessava creare approdi
utili a svolgere il loro commercio, per il quale era indispensabile
che le popolazioni originarie continuassero a esistere. In fondo
erano pacifici mercanti, che rifuggivano dall'uso delle armi. La
pressione dei Greci e l'arrivo degli Elimi, in fuga dall'attuale
Turchia minacciata dagli Ittiti, spinse all'alleanza i Fenici e gli
stessi Elimi, che insieme combatterono contro i minacciosi Greci.
I
Siculi si trovarono stretti nella tenaglia di questi popoli e si
ritirarono verso l'interno dell'Isola, fondando nei luoghi più
facili da difendere nuove città. Nacquero così Morgantina,
Pantalica, la stessa Butera – che prese il nome dal suo fondatore,
il mitico re siculo Bute – e altri piccoli centri. Ecco la ragione
per cui tutti i ritrovamenti archeologici di queste città sono
diversissime da quelle delle città greche.
In
questo periodo, caratterizzato da guerre tra Greci e Cartaginesi e
persino tra le città greche, i Siculi vivono come asserragliati
all'interno della Sicilia, quando il loro re Ducezio decide di creare
un regno siculo, fondando la sua capitale Paliké, e di scacciare gli
invasori Greci e Cartaginesi dalla Sicilia. Combatte per vent'anni,
finché non cade prigioniero dei Greci di Siracusa, dove parla
nell'agorà con orgoglio e senza paura. Colpiti dalla sua
personalità, i Greci lo risparmiano, ma lo costringono all'esilio
nell'Italia meridionale. Ducezio però fugge e ritorna nella sua
Sicilia, pronto a riprendere la lotta contro gli invasori. Fonda sui
Nebrodi la città di Calacte, oggi Caronia, e riprende la lotta, che
interrompe soltanto con la morte, quand'era poco più che
quarantenne.
La
sua eredità, fatta di orgoglio e di coraggio, non è morta con lui,
se noi la ricordiamo e del ricordo ci serviamo per continuare la sua
lotta per la Sicilia e per la sua libertà dai Crocetta e dai
deputatini della sua Assemblea regionale, più pericolosi degli
invasori greci e fenici.