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sabato 22 giugno 2013

La filiera clientelare

Potremmo convincerci, a guardare le cose italiane, che siamo in presenza di un ritorno alla società feudale, che da Carlo Magno al secolo XIV governò l'Europa, permettendo, fra errori e crisi d'ogni genere, una lenta crescita socio-economica. In questi secoli di feudalesimo imperante nacquero, infatti, le università, le cattedrali e i parlamenti. Si affermarono le realtà comunali e ad alcune di esse si deve lo sviluppo della marineria commerciale (Venezia, Genova ecc.) e non pochi degli strumenti necessari per una contabilità, che esigeva un sempre maggiore controllo (la partita doppia dei Fiorentini, i banchi fiorentini e fiamminghi ecc.).
Tutto subì un notevole rallentamento – quando non pure un regresso – quando il famoso Re Sole, quel guerrafondaio di Luigi XIV, non decise di affidare il suo regno a propri servitori, che finirono con il formare la cosiddetta nobiltà di toga, in opposizione alla nobiltà di spada, ch'era stata il primo sostegno del feudalesimo di Carlo Magno.
Era la degenerazione del feudalesimo. Questa nobiltà di toga era formata dai servi sciocchi del re assoluto, che controllavano in suo nome i tribunali, le famigerate esattorie e ogni respiro dei cittadini, sudditi per l'occasione. Era nata la burocrazia!
Quando poi, con la Rivoluzione francese, emise i suoi primi vagiti la pseudo democrazia dell'Europa continentale – perché quella inglese rispettò di più le autonomie locali, base del feudalesimo – i rivoluzionari, che della nobiltà di toga erano gli esponenti, conservarono alla Francia il suo centralismo, che presto fu imitato in tutto il resto d'Europa, Italia compresa.
Questa dittatura della burocrazia tornò utile anche ai politici, che la difesero e la potenziarono, per difendere i loro privilegi. Vani furono i tentativi dei costituzionalisti per correggere le disfunzioni di questa pseudo democrazia, negatrice di libertà e di dignità dei cittadini. Essa continuò imperterrita ad affermarsi, anche quando nacquero le prime associazioni sindacali e partitiche, perché non le si considerò uno strumento per potenziare le libertà locali, ma soltanto strumenti per difendere privilegi.
Ed è nel privilegio che risiede la forza della nuova burocrazia e della nuova politica, reciprocamente complici. Non potrebbero sopravvivere, se il cittadino la smettesse finalmente di considerare lo Stato come elargitore di privilegi e non come difensore della giustizia e dell'uguaglianza. Questo cittadino, che è un bimbo ubbidiente, perché mamma-stato gli dà la marmellata o gli compra un regalo, ma è pronto a frignare, quando non viene accontentato. Questo cittadino, che vede nella giustizia il vendicatore dei presunti torti subiti, che però egli stesso si è procurato. Questo cittadino, che non vuole crescere!
Questa lunga premessa è utile per capire l'oggi. I sindaci, le burocrazie comunali; i presidenti regionali, i consigli regionali e le loro burocrazie; i partiti politici e i movimenti, i sindacati, tutti con organizzazioni solo apparentemente prive di un controllo centralizzato; tutte queste cose formano quella che può essere definita la filiera clientelare.
Ci sono state e ci sono alcune eccezioni, ma sono troppo lontane dalla nostra realtà siciliana. Anzi, quando le accertiamo, queste eccezioni, confessiamo invidia e poi concludiamo che da noi non possono affermarsi e non ci rendiamo conto quanto sia poco dignitosa questa affermazione, che è soltanto la prova della nostra inettitudine o della nostra pigrizia mentale, quando non pure della nostra assuefazione all'ubbidienza e del nostro scarso coraggio.
Sarebbe ora che ci svegliassimo e dessimo torto al Principe di Lampedusa, che affermava, nel momento della conquista della libertà, che i Siciliani amano il sonno e detestano quanti cercano di svegliarli. Sarebbe ora che gli uomini, che hanno gusto per la libertà, si facessero avanti e facessero sentire la loro voce; sarebbe ora che si dichiarassero disponibili a farsi carico dell'impegno ad amministrare il loro comune e offrissero ai cittadini una mano per salvarli dalle ottuse agitazioni e per liberarli da poteri soltanto difensori privilegi.
Sappiano, infatti, questi cittadini, che difendere i privilegi invece della giustizia equivale a restare in balia del più forte, al quale toccherà sempre la fetta più grande a scapito della loro e di quella dei loro figli.
Liberatevi finalmente non del ricco, ma della burocrazia e di quella politica sua alleata.

venerdì 21 giugno 2013

Tassa e spendi

Tassa e spendi: questa sembra l'unica cosa che i nostri politici sanno fare, a destra e a sinistra. Non se ne vergognano, perché raramente capiscono.
E' così in tutta Italia e a ogni livello, nazionale, regionale e comunale. Ricordo spesso Bernardo Tanucci, che fu ministro delle finanze del Re delle Due Sicilie e che volle scritto nel suo epitaffio: non impose mai una nuova tassa. Ma senza andare così lontano, altri uomini della nostra disgraziata Repubblica meriterebbero di essere ricordati per la stessa ragione: Einaudi, Menichella e Pella.
E invece nessuno li ricorda, per cui siamo ridotti a credere che la politica fa schifo e che non vale la pena d'interessarsene, come se nasconderci sotto la sabbia facesse scomparire la realtà.
Consentitemi, per spiegare le cause di tale situazione, un breve riferimento alle dottrine politiche. Quasi tutti gli Autori affermano che il potere statale nasce da una sorta di contratto sociale, più o meno tacito, che ha la sua ragion d'essere nel fatto che contribuisce al crescere della collaborazione fra i cittadini, per il progresso sociale e per garantire pari dignità a ognuno.
Quando questo impegno viene meno, lo stato non ha più giustificazione e, quindi, autorevolezza. Allora si è autorizzati, secondo alcuni, al regicidio e secondo altri, più vicini ai nostri tempi di democrazia, alla rivoluzione o alla disobbedienza civile.
E' difficile, però, arrivare al punto di rottura, perché esso viene sostituito da una lenta lisi, alla quale ci abituiamo così tanto, da non accorgercene. E quando ce ne accorgiamo, abbiamo reazioni così inconsulte, che usiamo il voto, l'unica e potentissima arma in mano nostra, come una protesta contro qualcuno e votiamo senza tener conto di quel che urge fare.
Dopo questo breve excursus storico-dottrinale, non vedo come non considerarlo un valido strumento per spiegare la situazione attuale, che io chiamo del tassa e spendi. Venuto meno ai principi, che ne avrebbero giustificato l'esistenza, questo Stato ha perso autorevolezza e ha stimolato un sempre crescente desiderio dei cittadini di disubbidire. I politici, che dovrebbero farsi interpreti della loro voce, sembrano ormai sordi a essa, chiusi come sono nel loro fortilizio assediato e ormai prossimo a cadere. Fanno, quindi, come i Lucchesi del '500, che all'avanzare dei Pisani andavano loro incontro e offrivano grosse somme di denaro, per convincerli di desistere dall'assediarli. Proprio come fanno i politici di oggi, quando sono candidati: escono per le strade e le piazze e offrono promesse d'ogni genere ai cittadini, che essi considerano soltanto clienti.
Questi clienti ormai sanno che quelle promesse non possono essere mantenute e allora o protestano, affidandosi al demagogo di turno, o nascondono la testa sotto la sabbia, non votando.
Da qualche tempo, almeno a livello comunale, ci si è reso conto che questi clienti devono essere pagati subito. Li si convince, allora, ch'è necessario un loro contributo, di qualsivoglia natura, persino per offrire i cosiddetti circenses, che nell'antica Roma erano i giochi al Colosseo e che in questa Repubblica sono le feste patronali e qualunque altro divertimento, che coinvolge la fantasia popolare. E allora ecco comitati su comitati, che raccolgono questue per finanziare tali divertimenti, anche quelli che diseducano o lasciano l'amaro in bocca.
Questue, che non riguardano soltanto i divertimenti e le feste patronali, ma ormai anche il finanziamento dell'ordinaria amministrazione, per la quale i cittadini sono non solamente tassati, ma anche tartassati. Non siamo più di fronte a un'esagerata pressione fiscale, ma stretti da una pressa fiscale, della quale gli amministratori locali non sembrano rendersi conto, tant'è che stanno vicini a tale pressa con un bicchiere, con il quale tentano di raccogliere qualche goccia di sangue, che cade dal corpo maciullato del povero cittadino.
Fa specie che, a fare questo, siano quegli amministratori, che dovrebbero difenderci da chi aziona, con le sue leggi al di fuori di ogni principio etico e di uguaglianza, la pressa fiscale.
L'imposta brevità di un blog mi ha costretto a sintetizzare al massimo, ma spero di essere stato chiaro. Comunque sono pronto ad approfondire l'argomento con chi me lo chiedesse.

mercoledì 19 giugno 2013

L'inarrestabile crescita dell'ottusità

Un tempo non troppo lontano era diffusissima la consapevolezza che, se si volevano avere buoni professionisti e persino esperti, era necessario prima costruire l'uomo e poi su questa struttura poteva modellarsi quel che si voleva. E che cosa può essere più utile, per questo scopo, dello studio della filosofia, dei classici e di quant'altro può sviluppare la logica? Non per nulla fino a pochi decenni fa coloro che provenivano dal liceo classico potevano iscriversi in tutte le facoltà universitarie e quelli provenienti dal liceo scientifico dovevano sottostare ad alcune limitazioni. Gli altri, quelli provenienti dalle scuole tecniche, dovevano superare un esame d'ammissione, per dimostrare di essere uomini maturi. E quanto fosse importante questa maturità era dimostrato dalla norma che, superati i quarant'anni, ci si poteva iscrivere in qualsiasi facoltà, anche senza alcun titolo di studio, perché la maturità si era acquistata sul campo.
Oggi le cose procedono diversamente. Nessuno si preoccupa più di costruire l'uomo, ma ci si accontenta di costruire l'esperto, il professionista e persino l'insegnante. Si creano così fonti d'ignoranza, perché incapaci di analisi e di sintesi, uomini senza storia e senza capacità critica, disponibili come nessuno mai a sguazzare nel mare delle interpretazioni di norme create da altri come loro, con piena ottusità persino dei problemi, che vorrebbero risolvere.
E siccome piccoli uomini simili non avrebbero mai la capacità di coltivarsi persino una lattuga, sono tutti a piatire un “posto”, dove a nessuno viene in mente di chiedere, prima di pagare lo stipendio, se l'hanno meritato con un intelligente impegno. E dove, per di più, conquistano l'autorità di dominare i cittadini, inermi di fronte a questa pericolosissima e crescente ottusità, che persino essi condividono, per essere sempre più spesso figli di un sistema scolastico fonte d'ignoranza.
Anche se non brevemente, tutto ciò potrebbe essere superato, se la politica lo volesse. Ma la politica si serve della demagogia e inganna i cittadini, per servirsene poi per seguire i propri ottusi tornaconti. Ecco perché i giovani non ottusi se ne fuggono all'Estero, dove ancora non si è diffuso il culto della ottusità e dove mangia le lattughe soltanto chi le sa coltivare. E non sono pochi questi giovani: almeno duecentomila all'anno! Un impoverimento, che ci costringerà a sopportare ancora più inermi l'attuale diffusa ottusità. Personalmente sono più tranquillo per due ragioni: perché mio figlio è uno di questi duecentomila giovani andati all'Estero e perché non mi resta molto da vivere.
Abbastanza poco per sopportare il casuale e non cercato ascolto delle conversazioni fra funzionari e dirigenti pubblici, fra politicanti e clientele, che si svolgono fra i tavoli di un bar, dove amerei leggere e contemporaneamente stare a contatto con il mondo. E all'orecchio mi giungono le conversazioni più povere di argomenti, perché il tono della voce è più forte in coloro che hanno il cervello più vuoto. E' semplicemente stentoreo.

lunedì 17 giugno 2013

Le vicissitudini della Tares - il tributo comunale sui rifiuti e servizi indivisibili, la cui prima rata è di imminente scadenza in molti comuni - sono uno degli esempi più lampanti nel recente panorama tributario delle condizioni di sudditanza del contribuente italiano.
Introdotta alla fine del 2011 per sostituire la Tarsu e la Tia (la tariffa di igiene ambientale) e compensare i tagli dei trasferimenti statali, è evidente che la Tares costerà di più della somma dell'una e dell'altra, sia perché deve far fronte alle difficoltà di bilancio degli enti comunali, sia perché deve coprire al 100% i costi per la raccolta e lo smaltimento dei rifiuti, che non erano integralmente coperti dalla precedente tassazione.
Ma, a parte il non piccolo particolare del livello di pressione fiscale locale, ciò che stride rispetto a un sistema tributario "sano" è che sulla Tares sono cuciti due tributi di natura diversa: la tassa sui rifiuti - ossia il corrispettivo per lo specifico servizio di gestione dei rifiuti - e l'imposta per i servizi indivisibili - ossia un onere fiscale richiesto a prescindere da un criterio di corrispettività rispetto a un preciso servizio e che serve a finanziarie spese indivisibili come anagrafe o polizia locale.
Di conseguenza, il cittadino sa di dover pagare probabilmente di più rispetto agli anni precedenti, ma non sa se questo di più servirà a migliorare la qualità di qualche servizio, data appunto la quota per servizi (e spese) indivisibili.
Quest'ultima quota, inoltre, è una vera e propria tassa patrimoniale, che si somma ad un'altra patrimoniale già pagata sugli immobili - l'IMU - facendo della Tares una sorta di Frankenstein fiscale che, oltre ad avere una doppia natura fiscale, è una sorta di doppione di un tributo già esigibile per il medesimo presupposto impositivo, in spregio ai principi fondamentali del diritto tributario.
Se vista poi dal lato della certezza del diritto - carattere che dovrebbe essere fondamentale nel diritto tributario, dove ogni errore è in genere colpa del contribuente - a solo una settimana da quella che doveva essere l'entrata in vigore dell'imposta, la legge di stabilità per il 2013 ne ha differito ad aprile 2013 l'operatività, per poi posticipare ulteriormente il versamento della prima rata al primo luglio 2013.
Ad aprile, stanti le difficoltà di rendere operativa la riscossione del tributo, il governo ha deliberato che, per l'anno 2013, le scadenze venissero fissate dai comuni.
A meno di tre mesi da quello che doveva essere il pagamento del primo acconto, gli italiani non sapevano quanto e come pagare. Tutt'ora, molti comuni non hanno ancora deliberato, mentre altri hanno fissato scadenze entro il mese di giugno e l'agenzia delle entrate ha approvato bollettini e codici di pagamento solo alla fine di maggio.
Insomma, l'unica certezza è stata ancora una volta che si pagherà di più