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sabato 20 giugno 2015

Ancora grazie, Sindaco!

Due giorni fa ho concluso un mio intervento (http://www.qualecefalu.it/node/17278) con un grazie di tutto, Sindaco! Lo ringraziavo per il regalo di ben tre commissari, che rappresentavano non solo la prova che egli non si era dimostrato buon amministratore, ma anche la perdita di ogni autonomia del nostro Comune. Per dirla con una metafora, la nomina dei commissari equivale all'intrusione in casa nostra di qualcuno che ordina la disposizione dei mobili e persino la lista di quel che ci è lecito mangiare.
Nello stesso giorno il Sindaco, sollecitato da una interrogazione consiliare, scriveva ai Sindaci dei Comuni di Castelbuono, Collesano, Campofelice di Roccella, Gratteri, Isnello, Lascari, Pollina, San Mauro Castelverde e Scillato, per sollecitarli a dare la loro disponibilità a contribuire alle spese relative all'Ufficio del Giudice di Pace. Tutto ciò ad appena un mese dalla scadenza imposta dal Governo per aderire alla deroga.
Il nostro Sindaco crede che in trenta giorni i suoi omologhi potranno riunire i loro Consigli e ottenere da essi una delibera di assenso alla richiesta del Sindaco di Cefalù. Il crederlo, però, non basta a cambiare un fatto possibile in probabile.
Comunque, diamo per probabile che tutto si concluda entro il termine. È lecito chiedersi, però, perché l'invito del nostro Sindaco è partito soltanto trenta giorni prima della scadenza, sebbene la norma abbia la veneranda età di quattro mesi? Come mai non ci si è pensato in tempo utile?
Sono domande, alle quali un sindaco buon amministratore e rispettoso dei diritti dei cittadini dovrebbe rispondere. Temo, però, che il nostro non ne abbia gli argomenti.
E allora, che cosa dovrebbe fare per non far correre alla Città il rischio di perdere questa ultima occasione, per conservare la presenza di un Giudice di Pace? Basterebbe che egli non aspettasse l'adesione degli altri Comuni, che potrebbero aderire in seguito, e desse invece l'adesione del nostro Comune soltanto, come la norma concede.
Io non so se il Sindaco Lapunzina conosce bene la storia di Cefalù, ma vorrei ricordargli che Cefalù fu sede di pretura, finché queste esistettero. Anche in periodo borbonico a Cefalù esistevano uffici giudiziari. Anzi, proprio in quel periodo il re, titolare del diritto, era rappresentato anche da alcuni nobili, ai quali i viaggiatori potevano rivolgersi, come se si trattasse del Tribunale del Re. Le case e le ville di questi nobili, perché le si riconoscesse a distanza, avevano al loro interno un'alta palma visibile a lunga distanza.
Allora non c'era il punteruolo rosso, ma non c'era neppure il sindaco Lapunzina e neppure il PD. Allora c'era soltanto un Re, spesso poco liberale, ma preoccupato del bene dei suoi sudditi, perché sapeva che anche il suo potere assoluto aveva un limite, come avevano dimostrato la Magna Charta in Inghilterra e la Rivoluzione in Francia.
Oggi, invece, i nostri amministratori si comportano come il punteruolo rosso con le palme e fanno morire la palma simbolica del diritto e tutti gli uffici a esso collegati.
Il nostro Sindaco lo fa con maggiore astuzia: coinvolge gli altri Sindaci, per poter dire che è loro la colpa della perdita. Lo fa, premunendosi di un capro espiatorio, visto che il passato non gliel'ha dato per tempo. Questa sì che è abilità amministrativa, per la quale è giusto che ripeta: grazie di tutto, Sindaco!

domenica 7 giugno 2015

L'immigrazione e i suoi pericoli

Né l'Italia né l'Europa hanno dimostrato, fino a oggi, grande intelligenza del fenomeno emigrazione e di quelli che gli fanno da corollario.
L'Italia crede che di fronte alla continua invasione non ci si deve mostrare razzisti e rimane quasi inerte, fomentando quasi un odio razziale da parte di coloro che mai si sarebbero sognato di essere razzisti, ma che lo sono diventati quasi per difendere la loro cultura, quando non la stessa loro vita.
Questi razzisti, frutto della nostra cattiva politica e del malaffare con cui si governa il fenomeno, non hanno un giudizio negativo del colore della pelle o della povertà di questi poveri migranti, spesso in fuga per la vita, ma del fatto che il Governo e lo Stato in genere non sanno imporre il rispetto delle civili norme di convivenza. Inconsciamente sanno che questo rispetto delle regole non hanno saputo imporlo agli stessi Italiani, che per fortuna ancora in gran numero vi si attengono per l'educazione ricevuta fin da piccoli, ma che comincia a traballare, quando si rendono conto che i primi a non rispettare tali norme sono proprio coloro che prima le hanno approvate e adesso le calpestano, com'è accaduto a Roma, a Milano o a Venezia, dove gli episodi di delinquenza politica e burocratica hanno portato a numerosi arresti anche di politici di spicco. Questa osservazione li fa considerare come orfani della politica, che dovrebbe essere l'arte di fare il bene del popolo, e li fa sentire come privi di un riferimento politico, spingendoli per adesso a protestare, ma presto si sentiranno in diritto di difendersi da se stessi.
Quando ciò accadrà – e non ci vorrà molto tempo – lo Stato italiano sarà soltanto un fantasma e l'anarchia regnerà sovrana in Italia.
Di contro, l'Europa, incapace di vedere in questo fenomeno dell'immigrazione un pericolo per se stessa, pensa ancora come nell'Ottocento e rimane legata ai suoi interessi nazionalistici. Non è capace, in questo particolare momento, di mostrare quell'unità politica, che ne farebbe una forza da rispettare. L'Europa, in poche parole, è in questo momento un'imbelle Italia un po' più grande.
Attaccata ai piccoli interessi economici, sta indebolendosi, cercando di riequilibrare i singoli debiti pubblici, non accorgendosi che in questo modo ottiene un equilibrio verso il basso, perché la sua insana politica ha distrutto e ancora distrugge ricchezza e posti di lavoro.
Così facendo, la stessa immigrazione sarà destinata a diventare soltanto una ulteriore destabilizzazione sociale, ma finirà anche con il funzionare da acceleratore della crisi europea, con il Continente culla della civiltà trasformato in un cartello commerciale, incapace di crescere, perché sempre più oberato di imposte altissime, che ne minano la forza economica.
Sono convinto che, se nei prossimi mesi – e non anni – l'Italia e l'Europa rimarranno ancora all'attuale esempio di politica indecisa, senza strategia e senza volontà unitaria, per esse non si prepara un grande futuro, anzi, per esse non vi sarà più un futuro e l'Europa sarà solamente un'appendice del Continente asiatico. Già gli investimenti cinesi in Europa e in Italia ne sono il primo segno allarmante.
Tornerà la ragione in Italia e in Europa? Ne dubito.

mercoledì 3 giugno 2015

Diocleziano e Renzi: la nuova caduta d'una civiltà

Io non so come e quale storia s'insegna nelle nostre scuole, per non dire delle altre materie, ma tante posizioni dei giorni nostri indicano che comunque dalla magistra vitae s'è imparato così poco, che ormai ogni giorno di più si ripetono molti errori commessi in passato; si ripetono come se di essi non se ne avesse conoscenza alcuna. E quando se ne ha conoscenza, essa non comprende il vero significato delle scelte del passato e le conseguenze negative, che ne sono derivate.
Questa situazione ha determinato una vera e propria palude intellettuale e morale, nella quale sguazzano come ranocchi i politici e i burocrati, i cui proclami, scritti o parlati, somigliano al gracidare incomprensibile delle rane.
È la prima volta che ciò accade nella storia umana? Non direi. Se si guarda anche al lontano passato, ecco venire alla luce un momento storico simile all'attuale. Si tratta del momento storico della grande crisi, che precedette la caduta dell'Impero romano. Il momento storico in cui, dopo lotte civili e crisi economiche, arriva al soglio imperiale Diocleziano.
Egli arrivò in mezzo a una palude intellettuale e morale simile all'attuale. Come Renzi, s'incaricò di riorganizzare la società con grande vigore. Sfortunatamente, il suo zelo superò la sua comprensione delle forze economiche in gioco nell’impero. Non comprese, anch'egli dimentico di quanto era accaduto nella storia greca secoli prima, che con la moneta di uno stato non si può giocare, per far tornare i conti. La moneta ha il valore che i cittadini le riconoscono per i vantaggi che dà loro. Invece, come si fa oggi con l'euro, egli decise di mantenerla sopravvalutata.
La ragione principale per la sopravvalutazione del valore della moneta era, ovviamente, funzionale al mantenimento di una grande armata ed una estesa burocrazia – l’equivalente di un governo moderno. Ogni provincia dell'impero aveva la sua burocrazia, che insieme a quella romana succhiava il sangue dei cittadini.
Diocleziano decise, come accadde con Berlusconi e come oggi accade con Renzi, che la deflazione, ottenuta riducendo i costi civili e militari del governo, era impossibile. Era impossibile allora ed è impossibile oggi. La sola differenza tra allora e oggi consiste nel fatto che l'Italia non è l'Impero, ma la provincia dell'impero europeo, per cui Renzi, come un antico governatore di una provincia romana, può dire che così vuole l'imperatore, nel nostro caso l'imperatrice Merkel. Egli, quindi, ha messo in moto una sequela di imposte, pur di non diminuire le spese dello Stato, che mantiene con alti emolumenti e vitalizi i suoi parassiti. E se il cittadino non può pagare le troppe imposte? Qui Renzi e i politici dimostrano di avere imparato bene la lezione di Diocleziano, che in un suo decreto così si esprime: si considererà colpevole anche chi, possedendo abbastanza beni per il vitto e l’utilizzo, abbia deciso di ritirarli dal mercato, poiché la pena [ovvero la morte] meriterebbe di essere più severa per chi causa la penuria che non per chi se ne approfitta contro le leggi.
Esattamente la stessa cosa che è accaduta e ancora accade con Renzi. E il decreto di Diocleziano, credetemi, è scritto in un latino, che somiglia tanto al pessimo italiano, in cui sono scritte le leggi e le circolari odierne.
Nessuno dice ai politici di oggi che l'epoca di Diocleziano fu seguita prima dalla spaccatura dell'impero e poi, poco più di un secolo dopo, dalla sua caduta. E nessuno dice a questi piccoli ignoranti che un secolo di allora potrebbe contrarsi oggi, grazie alla velocità di comunicazione, ad appena un decennio, dopodiché finirebbe anche l'Italia come finì l'Impero romano.