Thomas Jefferson si
oppose alla prima banca centrale americana, voluta da Hamilton.
Nasceva così il primo capitalismo clientelare.
Hamilton, a differenza di Jefferson, ignorava le idee economiche del
libero mercato. Era, insomma, completamente all'oscuro del pensiero
di Adam Smith o di Ricardo.
Questa
ignoranza gli permise di caldeggiare la causa del grande debito
pubblico, che giunse a definire “una benedizione pubblica”! La
definì così, non perché pensava che l'aumento del debito pubblico
doveva servire a finanziare progetti di opere pubbliche, ma perché
pensava, con un ragionamento contorto e diabolico, che vendendo
obbligazioni alle persone più facoltose, le avrebbe legate a
sostenerlo in grandiosi piani di tassazione e di sostegno delle
banche d'investimento, che avevano immesso sul mercato le
obbligazioni dello Stato. Ebbe ragione e ancora oggi ha ragione.
Proprio le banche sono oggi sostenitrici di un grande governo e di
tasse più pesanti. Se poi c'è una più grande banca centrale
accentratrice, come la BCE, allora il disegno diabolico di Hamilton
diventa più facile da attuare.
Al
suo disegno si opposero Jefferson e Madison, ma inutilmente: nel 1811
nacque la FED, la grande banca americana, che nei suoi primi cinque
anni di vita causò un'inflazione del 72%. Nonostante questo
fallimento e i tanti ripetutisi anche recentemente e fino ai giorni
nostri, ancora oggi in America e in Europa i governi si ostinano a
seguire la stessa strategia dell'economista ignorante di economia
Hamilton.
I
danni causati da questa politica sono ancora più gravi: essa genera
non soltanto instabilità economica, ma anche corruzione. E noi, in
Italia, conosciamo bene la corruzione e le sue conseguenze! Non per
nulla Summer scrisse che le idee di Hamilton per il protezionismo, il
welfare corporativo e il sistema bancario centrale erano “i mezzi
con cui il corrotto sistema di governo britannico (quello di allora
ndr) poteva essere introdotto negli Stati Uniti”.
Sumner
scrisse <<che
la reputazione di Hamilton di grande esperto di economia e finanza è
stata
enormemente
esagerata; aggiungendo, inoltre, che il pensiero economico di
Hamilton era
caratterizzato
da “confusione e contraddizioni” e lo stesso era “offuscato
dalle nebbie del
mercantilismo”.
Sfortunatamente per noi tutte le cattive idee di Hamilton“fornirono
un arsenale ben accolto dai politici” che gli succedettero.
Il
mercantilismo di Hamilton è essenzialmente il sistema economico e
politico sotto il quale gli
americani
hanno vissuto per diverse generazioni fino ad oggi: un presidente –
come un re – che
governa
per mezzo di “ordini esecutivi” ed ignora qualsiasi vincolo
costituzionale ai suoi poteri;
dei
governi statali più simili a marionette nelle mani del governo
centrale; un welfare
corporativo
fuori controllo, specialmente alla luce del più recente oltraggio,
il plutocrate
progetto
di legge per il salvataggio di Wall Street; un debito nazionale di 10
mila miliardi di
dollari
(70 miliardi di dollari, se si considerano le passività del governo
non finanziate); un
perpetuo
ciclo di boom-and-bust causato dagli pseudo maghi di Oz pianificatori
centrali della
Fed;
una costante aggressione militare in giro per il mondo che sembra
solo favorire appaltatori
della
difesa ed altri beneficiari dell’apparato militare; e più di metà
della popolazione comprata
con
sussidi di ogni genere immaginabile per supportare la crescita senza
fine dello Stato. Questa
è
la maledizione di Hamilton scagliata sugli Stati Uniti, una
maledizione che deve essere
esorcizzata
se si vuole avere una qualsivoglia speranza di resuscitare la
prosperità e la libertà
americane.>>
Una
maledizione che vorremmo che possa essere evitata all'Europa, ma
soprattutto all'Italia, che di questa politica è vittima. Di questa
politica, che ha nomi diversi: 5 stelle, Forza Italia, PD e via così,
ma che si riduce soltanto a un pessimo esempio d'ignoranza o
dell'arroganza umana, che vuole considerare l'economia, che è una
scienza con proprie leggi, come uno strumento della politica, che può
permettersi di cambiare tali leggi, come se si potessero cambiare le
leggi dell'equilibrio dei pianeti. Si pensi, per esempio,
all'affermazione negli anni '70 dei sindacati, che imponevano ai
governi e alla politica di considerare il salario una “variabile
indipendente” del bilancio!
È
tempo che la si smetta di considerare l'economia asservita alla
politica, perché da questo illogico presupposto derivano soltanto
crisi e povertà, per non dire perdita di libertà. La politica torni
a fare quel ch'è giusto fare: garantire leggi uguali per tutti e
libertà agli individui, che non devono fidare nel welfare state,
perché esso è – e non poteva essere altro – soltanto
un'oligarchia di burocrati, che distribuiscono quanto tolto ai
cittadini secondo formule della loro immaginazione e degli interessi
propri e di quei politici, che li tengono in piedi. Se riflettiamo, è
innegabile che l'attuale tassazione è una vera e propria confisca di
quanto prodotto dai cittadini. La corruzione finanziaria di certi
politici è quasi niente di fronte alla corruzione delle menti e
delle coscienze dei cittadini.
Tempo
fa, allo scoppio della crisi, ebbi a dire ad alcuni amici che essa
sarebbe durata almeno quindici anni, perché le scelte politiche
erano sbagliate e non tenevano conto delle ovvie regole
dell'economia. Mi dissero che ero esagerato, ma non credo che oggi,
quasi allo scadere dei quindici anni e ancora in crisi, siano
disposti a definirmi ancora esagerato.