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martedì 18 febbraio 2014

Vogliono uccidere l'amore per il sapere

Ci risiamo, questa ottusa classe politica tenta ancora una volta di offuscare le menti degli Italiani, per non correre il rischio che essi possano avere strumenti logici, da utilizzare come strumenti capaci di scoprirne la pochezza.
Vogliono decidere, questi poveri mentecatti, di abolire lo studio della filosofia in alcune facoltà universitarie e di ridurlo di un anno – da tre a due – nei licei.
Già lo hanno fatto con la geografia, con la storia, con il latino e con l'educazione civica. Con la stessa matematica si è proceduto ad abolire ogni sforzo di ragionamento, sviluppato con la dimostrazione dei suoi teoremi, e pretendendo quanto più possibile soltanto lo sforzo mnemonico.
In tanti, cultori della filosofia e spesso filosofi essi stessi, hanno protestato, nella speranza di salvare quel poco che resta della nostra scuola. Sebbene abbiano protestato con argomentazioni inoppugnabili, c'è il rischio che la maggioranza creda che essi abbiano agito e agiscano in difesa di un loro esclusivo vantaggio.
In quest'epoca di approssimazioni e di difesa di un malinteso concetto della scienza, infatti, sono in molti a credere che la vera cultura consista nell'immediata effettualità del sapere che ci trasmette. In breve, la cultura sarà utile, soltanto se potremo servircene a scopi pratici e con applicazioni immediate.
Si dimentica, però, quel che la storia della scienza ci insegna, anche per bocca e con l'esempio dei grandi scienziati, ai quali dobbiamo le grandi scoperte, che hanno reso più facile la nostra vita e meno mortali le malattie. Se oggi voliamo da Palermo a New York in appena sette ore, lo dobbiamo certamente al sapere scientifico; se curiamo la polmonite e se possiamo usare questo computer, lo dobbiamo certamente al sapere scientifico: se non siamo, cioè, ancora allo stato primitivo, vittime di una atroce insicurezza, lo dobbiamo alla scienza e alle sue applicazioni pratiche. Lo dobbiamo agli scienziati, che hanno studiato la natura e per riuscirci hanno saputo applicare la loro mente. La mente, che non è soltanto il cervello sotto il cranio, ma la capacità di fare ipotesi; di essere, cioè, una mente filosofica.
Si pensi a Democrito ed Epicuro, che seppero ipotizzare l'atomo, poi scoperto oltre duemila anni dopo; si pensi a Newton e a Kant, ad Einstein e Maxwell: questi nominati e le centinaia di scienziati non nominati furono filosofi. Se non lo fossero stati, non avrebbero avuto una mente capace di aiutarli nella ricerca.
Oggi che cosa si vuol fare? Si vuole irresponsabilmente ritornare all'epoca che va dalla caduta dell'Impero romano all'anno Mille, quando l'assenza della filosofia rese gli uomini incapaci persino di coltivare la terra per nutrirsi e l'igiene per difendersi dalle pestilenze.
Voglio ricordare, per allontanarmi da riflessioni troppo erudite, un episodio della mia fanciullezza. Ero in visita presso i miei nonni paterni in un paesino del Messinese e là conobbi un signore, che raccontò come i suoi genitori vollero che studiasse, perché dallo studio sarebbe derivato non tanto un salto sociale, ma piuttosto la possibilità di essere utile agli altri. Era ancora alle medie, dove allora si studiava il latino, quando la madre, al suo rientro dalle vacanze, gli chiese di riferirle quali parole latine avesse imparato, come se questo fosse la misura dell'avanzamento culturale del figlio.
La donna, come il marito, non aveva studiato, ma il buon senso le indicava che quel latino, sebbene non potesse avere implicazioni pratiche, contribuiva all'apertura mentale del figlio. Quel buon senso che sembra mancare ai nostri politici, a meno che non vogliamo crederli tanto in malafede, da dedurre che essi vogliono cittadini con la mente sempre più chiusa, per trasformarli in sudditi impotenti.
Pensate per un momento quanto sarebbe necessario questo buon senso a Cefalù!