Ci risiamo, questa ottusa
classe politica tenta ancora una volta di offuscare le menti degli
Italiani, per non correre il rischio che essi possano avere strumenti
logici, da utilizzare come strumenti capaci di scoprirne la pochezza.
Vogliono decidere, questi
poveri mentecatti, di abolire lo studio della filosofia in alcune
facoltà universitarie e di ridurlo di un anno – da tre a due –
nei licei.
Già lo hanno fatto con
la geografia, con la storia, con il latino e con l'educazione civica.
Con la stessa matematica si è proceduto ad abolire ogni sforzo di
ragionamento, sviluppato con la dimostrazione dei suoi teoremi, e
pretendendo quanto più possibile soltanto lo sforzo mnemonico.
In tanti, cultori della
filosofia e spesso filosofi essi stessi, hanno protestato, nella
speranza di salvare quel poco che resta della nostra scuola. Sebbene
abbiano protestato con argomentazioni inoppugnabili, c'è il rischio
che la maggioranza creda che essi abbiano agito e agiscano in difesa
di un loro esclusivo vantaggio.
In quest'epoca di
approssimazioni e di difesa di un malinteso concetto della scienza,
infatti, sono in molti a credere che la vera cultura consista
nell'immediata effettualità del sapere che ci trasmette. In breve,
la cultura sarà utile, soltanto se potremo servircene a scopi
pratici e con applicazioni immediate.
Si dimentica, però, quel
che la storia della scienza ci insegna, anche per bocca e con
l'esempio dei grandi scienziati, ai quali dobbiamo le grandi
scoperte, che hanno reso più facile la nostra vita e meno mortali le
malattie. Se oggi voliamo da Palermo a New York in appena sette ore,
lo dobbiamo certamente al sapere scientifico; se curiamo la polmonite
e se possiamo usare questo computer, lo dobbiamo certamente al sapere
scientifico: se non siamo, cioè, ancora allo stato primitivo,
vittime di una atroce insicurezza, lo dobbiamo alla scienza e alle
sue applicazioni pratiche. Lo dobbiamo agli scienziati, che hanno
studiato la natura e per riuscirci hanno saputo applicare la loro
mente. La mente, che non è soltanto il cervello sotto il cranio, ma
la capacità di fare ipotesi; di essere, cioè, una mente filosofica.
Si pensi a Democrito ed
Epicuro, che seppero ipotizzare l'atomo, poi scoperto oltre duemila
anni dopo; si pensi a Newton e a Kant, ad Einstein e Maxwell: questi
nominati e le centinaia di scienziati non nominati furono filosofi.
Se non lo fossero stati, non avrebbero avuto una mente capace di
aiutarli nella ricerca.
Oggi che cosa si vuol
fare? Si vuole irresponsabilmente ritornare all'epoca che va dalla
caduta dell'Impero romano all'anno Mille, quando l'assenza della
filosofia rese gli uomini incapaci persino di coltivare la terra per
nutrirsi e l'igiene per difendersi dalle pestilenze.
Voglio ricordare, per
allontanarmi da riflessioni troppo erudite, un episodio della mia
fanciullezza. Ero in visita presso i miei nonni paterni in un paesino
del Messinese e là conobbi un signore, che raccontò come i suoi
genitori vollero che studiasse, perché dallo studio sarebbe derivato
non tanto un salto sociale, ma piuttosto la possibilità di essere
utile agli altri. Era ancora alle medie, dove allora si studiava il
latino, quando la madre, al suo rientro dalle vacanze, gli chiese di
riferirle quali parole latine avesse imparato, come se questo fosse
la misura dell'avanzamento culturale del figlio.
La donna, come il marito,
non aveva studiato, ma il buon senso le indicava che quel latino,
sebbene non potesse avere implicazioni pratiche, contribuiva
all'apertura mentale del figlio. Quel buon senso che sembra mancare
ai nostri politici, a meno che non vogliamo crederli tanto in
malafede, da dedurre che essi vogliono cittadini con la mente sempre
più chiusa, per trasformarli in sudditi impotenti.
Pensate per un momento
quanto sarebbe necessario questo buon senso a Cefalù!