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domenica 3 agosto 2014

Politica ed economia: filosofia la prima, scienza la seconda

Thomas Jefferson si oppose alla prima banca centrale americana, voluta da Hamilton. Nasceva così il primo capitalismo clientelare. Hamilton, a differenza di Jefferson, ignorava le idee economiche del libero mercato. Era, insomma, completamente all'oscuro del pensiero di Adam Smith o di Ricardo.
Questa ignoranza gli permise di caldeggiare la causa del grande debito pubblico, che giunse a definire “una benedizione pubblica”! La definì così, non perché pensava che l'aumento del debito pubblico doveva servire a finanziare progetti di opere pubbliche, ma perché pensava, con un ragionamento contorto e diabolico, che vendendo obbligazioni alle persone più facoltose, le avrebbe legate a sostenerlo in grandiosi piani di tassazione e di sostegno delle banche d'investimento, che avevano immesso sul mercato le obbligazioni dello Stato. Ebbe ragione e ancora oggi ha ragione. Proprio le banche sono oggi sostenitrici di un grande governo e di tasse più pesanti. Se poi c'è una più grande banca centrale accentratrice, come la BCE, allora il disegno diabolico di Hamilton diventa più facile da attuare.
Al suo disegno si opposero Jefferson e Madison, ma inutilmente: nel 1811 nacque la FED, la grande banca americana, che nei suoi primi cinque anni di vita causò un'inflazione del 72%. Nonostante questo fallimento e i tanti ripetutisi anche recentemente e fino ai giorni nostri, ancora oggi in America e in Europa i governi si ostinano a seguire la stessa strategia dell'economista ignorante di economia Hamilton.
I danni causati da questa politica sono ancora più gravi: essa genera non soltanto instabilità economica, ma anche corruzione. E noi, in Italia, conosciamo bene la corruzione e le sue conseguenze! Non per nulla Summer scrisse che le idee di Hamilton per il protezionismo, il welfare corporativo e il sistema bancario centrale erano “i mezzi con cui il corrotto sistema di governo britannico (quello di allora ndr) poteva essere introdotto negli Stati Uniti”.
Sumner scrisse <<che la reputazione di Hamilton di grande esperto di economia e finanza è stata
enormemente esagerata; aggiungendo, inoltre, che il pensiero economico di Hamilton era
caratterizzato da “confusione e contraddizioni” e lo stesso era “offuscato dalle nebbie del
mercantilismo”. Sfortunatamente per noi tutte le cattive idee di Hamilton“fornirono un arsenale ben accolto dai politici” che gli succedettero.
Il mercantilismo di Hamilton è essenzialmente il sistema economico e politico sotto il quale gli
americani hanno vissuto per diverse generazioni fino ad oggi: un presidente – come un re – che
governa per mezzo di “ordini esecutivi” ed ignora qualsiasi vincolo costituzionale ai suoi poteri;
dei governi statali più simili a marionette nelle mani del governo centrale; un welfare
corporativo fuori controllo, specialmente alla luce del più recente oltraggio, il plutocrate
progetto di legge per il salvataggio di Wall Street; un debito nazionale di 10 mila miliardi di
dollari (70 miliardi di dollari, se si considerano le passività del governo non finanziate); un
perpetuo ciclo di boom-and-bust causato dagli pseudo maghi di Oz pianificatori centrali della
Fed; una costante aggressione militare in giro per il mondo che sembra solo favorire appaltatori
della difesa ed altri beneficiari dell’apparato militare; e più di metà della popolazione comprata
con sussidi di ogni genere immaginabile per supportare la crescita senza fine dello Stato. Questa
è la maledizione di Hamilton scagliata sugli Stati Uniti, una maledizione che deve essere
esorcizzata se si vuole avere una qualsivoglia speranza di resuscitare la prosperità e la libertà
americane.>>
Una maledizione che vorremmo che possa essere evitata all'Europa, ma soprattutto all'Italia, che di questa politica è vittima. Di questa politica, che ha nomi diversi: 5 stelle, Forza Italia, PD e via così, ma che si riduce soltanto a un pessimo esempio d'ignoranza o dell'arroganza umana, che vuole considerare l'economia, che è una scienza con proprie leggi, come uno strumento della politica, che può permettersi di cambiare tali leggi, come se si potessero cambiare le leggi dell'equilibrio dei pianeti. Si pensi, per esempio, all'affermazione negli anni '70 dei sindacati, che imponevano ai governi e alla politica di considerare il salario una “variabile indipendente” del bilancio!
È tempo che la si smetta di considerare l'economia asservita alla politica, perché da questo illogico presupposto derivano soltanto crisi e povertà, per non dire perdita di libertà. La politica torni a fare quel ch'è giusto fare: garantire leggi uguali per tutti e libertà agli individui, che non devono fidare nel welfare state, perché esso è – e non poteva essere altro – soltanto un'oligarchia di burocrati, che distribuiscono quanto tolto ai cittadini secondo formule della loro immaginazione e degli interessi propri e di quei politici, che li tengono in piedi. Se riflettiamo, è innegabile che l'attuale tassazione è una vera e propria confisca di quanto prodotto dai cittadini. La corruzione finanziaria di certi politici è quasi niente di fronte alla corruzione delle menti e delle coscienze dei cittadini.
Tempo fa, allo scoppio della crisi, ebbi a dire ad alcuni amici che essa sarebbe durata almeno quindici anni, perché le scelte politiche erano sbagliate e non tenevano conto delle ovvie regole dell'economia. Mi dissero che ero esagerato, ma non credo che oggi, quasi allo scadere dei quindici anni e ancora in crisi, siano disposti a definirmi ancora esagerato.