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martedì 26 maggio 2015

Una violenza "mai creatrice di cosa alcuna"

Quasi tutto il '900 fu attraversato dal pensiero di Benedetto Croce. È ancora ricordato fuori d'Italia, ma non più in Italia. In quell'Italia per la quale rappresentò, nel triste Ventennio fascista, una vera e propria luce di libertà. Una luce così forte, che raggiungeva le menti di tutto il Pianeta, al punto che lo stesso Mussolini, consapevole del danno, che ne sarebbe derivato alla sua immagine, non osò mai mostrare nei suoi confronti intolleranza e sopportò che la sua rivista La Critica vivesse tranquilla, sebbene spesso vi apparissero scritti critici sul Fascismo.
Dai libri di Croce imparai ad amare la libertà e m'incuriosii di arte e di estetica. Questa curiosità e quell'apprendimento oggi mi costringono a rileggere le sue pagine, ma con la lentezza dovuta alle obbligate riflessioni suscitate da quel possente pensiero.
Certo, il Croce, che lessi e studiai in gioventù, oggi mi si presenta in molte parti non condivisibile, ma non per questo Egli ha perso il suo fascino. Il fascino che ti lascia il sapore di una tua crescita morale, prima ancora che intellettuale. Sì, morale, perché Croce fu un alfiere di leggi morali, così dimenticate nei nostri giorni. Tanto dimenticate, da aver lasciato spazio alle agitazioni prive, in chi le compie, di ogni beneficio del dubbio. Sembra di essere tornati al V secolo avanti Cristo, quando ad Atene i sofisti insegnavano ai politici del tempo ad ingannare con la parola e a nascondere, con essa, le loro responsabilità.
Proprio in questi giorni, leggendo La storia come pensiero e come azione, mi sono imbattuto in questa frase: “La violenza non è forza, ma debolezza, né mai può essere creatrice di cosa alcuna, ma soltanto distruggitrice”. La frase si trova nel VI capitolo del libro, non a caso intitolato: Forza e violenza, ragione e impulso.
La frase mi ha colpito più di quanto mi avesse colpito quando la lessi la prima volta. Non perché il concetto mi giungeva nuovo, ma perché esso mi aiutava a spiegare molti fatti della cronaca politica odierna. E quando dico odierna, mi riferisco agli ultimi vent'anni, agli anni della cosiddetta seconda Repubblica. La Repubblica concepita nel letto sporco della corruzione, ma mai nata, perché essa ha finito con l'essere un aborto, nato dall'incrocio tra la violenza del populismo e la paura di perdere i propri privilegi.
Questa politica, questo aborto, non ha creato cosa alcuna, ma ha soltanto distrutto, come diceva Croce. Ha distrutto non soltanto il presente, ma anche la speranza nel futuro. Ecco perché la forza dei giovani non è più diretta dalla ragione, ma dall'impulso, e si esprime con la violenza. Con la violenza i giovani credono di combattere a Milano un'espressione del capitalismo e non si accorgono che l'expo non è capitalismo, ma l'espressione del più bieco statalismo. Credono, più o meno in buonafede, che la loro disoccupazione sia figlia del profitto e non dell'assenza di profitto imprenditoriale. Se il profitto imprenditoriale non fosse ormai rapinato con la violenza da una tassazione esageratamente grande, esso accrescerebbe la produzione, i consumi e i posti di lavoro.
A questa violenza dei giovani e dei poveri, la politica oppone la propria violenza, volta non a garantire la Giustizia, ma la conservazione della propria ingiustizia e del proprio tornaconto. La paura di perdere i propri privilegi spinge i politici alla mistificazione e alla violenza per difendersi.
Quanto potrà durare ancora uno Stato senza ragione, in cui tutti agiscono spinti da un impulso senza riflessione? Credo molto poco e anche se questo non è più il tempo delle rivoluzioni, la decadenza somiglia troppo a quella dell'ultimo Impero Romano, che crollò non per una rivoluzione, ma per la debolezza delle sue istituzioni, che prima lasciarono sparire ogni grandezza morale e ogni disciplina del popolo romano e poi cedettero di fronte ai barbari, che almeno una loro morale l'avevano: quella della forza fisica come espressione di eroismo. Noi, invece, abbiamo perso ogni capacità di eroismo e cediamo ogni giorno di fronte ai nuovi barbari, che nella sponda africana sono in attesa d'invaderci e di darci un esempio di violenza, dalla quale non potremo non essere sopraffatti.