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lunedì 26 dicembre 2016

Le invasioni prima di Crocetta

C'è un nome, che dà alla Sicilia lustro più di quanto ne diano tanti altri, succedutisi nei secoli in questa terra straordinaria, che oggi soffre proprio a causa dell'ignoranza di tale nome. Il nome di un uomo coraggioso e intelligente, che ai suoi tempi si batté per l'indipendenza della Sicilia dai Greci e dai Fenici-Cartaginesi. È il nome di Ducezio.
In questo periodo natalizio, che non è proprio un periodo di pace fraterna fra gli uomini, ma di attentati e di morti, di bambini senza futuro e sofferenti, di arroganza e supponenza di coloro che dicono falsamente di volere il bene di tutti: in questo periodo di agonia della nostra civiltà è giusto e doveroso ricordare Ducezio, che per questa civiltà si è battuto per tutta la sua vita.
Ricordarlo equivale a ricordarci della nostra storia, che non sfigura di fronte ai Comuni medievali in lotta per la libertà o alle rivoluzioni dell'Ottocento, che resero migliore l'Europa. Se egli avesse vinto, sarebbe migliore anche la Sicilia; se noi lo ricorderemo, imparandone la lezione, riusciremmo a riprendere il cammino verso tale miglioramento e la Sicilia sarebbe ancora una volta indicata come un faro di civiltà e di tolleranza, come lo fu con Ruggero II e con Federico II.
È con questa speranza che tento un veloce excursus storico degli albori della storia della Sicilia.
Certamente di quel periodo storico non abbiamo testimonianze dirette, ma ci vengono in aiuto gli storici Tucidide e Diodoro Siculo, che nei loro scritti fecero spesso riferimento a esso, riportando notizie e nomi, che altrimenti sarebbero oggi dimenticati. Un altro aiuto ce lo dà anche il poeta Omero, a condizione di leggere nella sua Iliade non i fatti derivanti dalle gelosie degli uomini o degli dei, ma le conseguenze dello scontro titanico dei Greci contro gli Ittiti dell'attuale Turchia.
Apprendiamo dai due storici che dalla fusione dei Sicani con i Siculi venne fuori il primo popolo siciliano, che diede nome alla Sicilia, che i Greci si ostinarono a chiamare Trinacria per la sua forma. Ducezio era dunque quello che oggi chiameremmo un siciliano doc, perché figlio di un popolo, che nulla aveva a che vedere con le altre popolazioni del Mediterraneo d'allora. Quando questo popolo si era già insediato nell'Isola e aveva imparato a sfruttarne il territorio, creando città e sviluppando l'agricoltura, l'espansione di altri popoli determinò un cambiamento nella vita dei Siculi, che si videro minacciati dai Greci a oriente e dai Fenici a occidente, anche se entrambi provenivano da oriente rispetto alla Sicilia: i Greci dalla montuosa e povera penisola greca e i Fenici dall'attuale Libano.
Tra i due popoli invasori c'era una sostanziale differenza. I primi, i Greci, avevano in mente la conquista di tutta la Sicilia. Ovunque arrivavano, fondavano le loro città e scacciavano le popolazioni residenti, non disdegnando di ricorrere perfino al genocidio.
Diverse erano le intenzioni dei Fenici. A loro interessava creare approdi utili a svolgere il loro commercio, per il quale era indispensabile che le popolazioni originarie continuassero a esistere. In fondo erano pacifici mercanti, che rifuggivano dall'uso delle armi. La pressione dei Greci e l'arrivo degli Elimi, in fuga dall'attuale Turchia minacciata dagli Ittiti, spinse all'alleanza i Fenici e gli stessi Elimi, che insieme combatterono contro i minacciosi Greci.
I Siculi si trovarono stretti nella tenaglia di questi popoli e si ritirarono verso l'interno dell'Isola, fondando nei luoghi più facili da difendere nuove città. Nacquero così Morgantina, Pantalica, la stessa Butera – che prese il nome dal suo fondatore, il mitico re siculo Bute – e altri piccoli centri. Ecco la ragione per cui tutti i ritrovamenti archeologici di queste città sono diversissime da quelle delle città greche.
In questo periodo, caratterizzato da guerre tra Greci e Cartaginesi e persino tra le città greche, i Siculi vivono come asserragliati all'interno della Sicilia, quando il loro re Ducezio decide di creare un regno siculo, fondando la sua capitale Paliké, e di scacciare gli invasori Greci e Cartaginesi dalla Sicilia. Combatte per vent'anni, finché non cade prigioniero dei Greci di Siracusa, dove parla nell'agorà con orgoglio e senza paura. Colpiti dalla sua personalità, i Greci lo risparmiano, ma lo costringono all'esilio nell'Italia meridionale. Ducezio però fugge e ritorna nella sua Sicilia, pronto a riprendere la lotta contro gli invasori. Fonda sui Nebrodi la città di Calacte, oggi Caronia, e riprende la lotta, che interrompe soltanto con la morte, quand'era poco più che quarantenne.
La sua eredità, fatta di orgoglio e di coraggio, non è morta con lui, se noi la ricordiamo e del ricordo ci serviamo per continuare la sua lotta per la Sicilia e per la sua libertà dai Crocetta e dai deputatini della sua Assemblea regionale, più pericolosi degli invasori greci e fenici.

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